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"G" RACCONTA: DAL WEB - Museo del G

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"G" RACCONTA: DAL WEB

g racconta


COLLABORAZIONE CON TISCALI



Nel 2011, in qualità di Presidente di FIRENZE RIZZATI !!!,
Gianni Greco fu invitato da Tiscali a scrivere una serie di articoli imperniati sulla sua città per il quotidiano online Tiscali Toscana, cosa che fece con estrema disponibilità.
Ma dopo varie vicissitudini narrate nell'articolo finale scritto su Toscana News 24,
il rapporto si interruppe a causa di una immotivata censura (di nuovo) abbattutasi sulla prosa libera che ha sempre caratterizzato il "G".
Gli articoli furono fatti sparire dal web, ma li abbiamo recuperati, e li presentiamo qui.








Firenze: la città più bella del mondo ma “dalle nostre teste in su”
di Gianni Greco

La città più bella del mondo: molti, accecati dal tifo, pensano che sia la propria. Per amore. Per orgoglio. Per campanile. Poi arrivano al Piazzale Michelangelo, guardano il panorama di Firenze e cominciano a nutrire dubbi. Forse la città più bella del mondo è proprio quella. I volti di queste persone, appoggiate per sindrome stendhaliana al forte parapetto del Piazzale, si distendono nella meraviglia, nella pace di un sorriso di appagamento, nel raggiungimento di un piacere superiore ad ogni altro, in presenza dell’incredibile armonia di ciò che vedono. Qualunque sia la forma dei loro occhi. Qualunque sia il loro colore, la loro provenienza. Firenze sfida ogni altro panorama.
Non c’è Parigi, non c’è Roma, non c’è New York che tengano. Da tutto il mondo si converge qui alla ricerca del Medioevo, del Rinascimento, di Dante, Giotto, Michelangelo, Leonardo, Botticelli, Donatello, Masaccio, Brunelleschi… Il Genio nasce e si sviluppa qui. E guardando si capisce perché. Poi si entra nei musei: gli Uffizi, l’Accademia, il Bargello, le Cappelle Medicee, la Galleria Palatina… Nelle chiese: S. Croce, S. M. Novella, S. Maria del Fiore, S. Miniato, S. Lorenzo, S. Marco, SS. Annunziata… Si sale sulla Cupola del Brunelleschi, sul Campanile di Giotto, si arriva in Piazza della Signoria e ci si trova di fronte all’incredibile mole di Palazzo Vecchio, in mezzo a un vero museo a cielo aperto.
Si attraversa il Ponte Vecchio per arrivare a Palazzo Pitti e ai Giardini di Boboli… Mille attrattive che il turista non riesce a godersi per la troppo breve permanenza, ma che affollano tutte insieme il suo cuore, che a Firenze resta anche quando, ripartito, si trova a rimpiangere quella Bellezza. La Bellezza è necessaria in un mondo che sembra volerla ripudiare. E Firenze è dolorante testimone di questo turpe tentativo: rimane infatti la città più bella del mondo, ma dalle nostre teste in su.
Fin dove arriva la mano dell’uomo il degrado aggredisce il suo Centro Storico, tutto intero proclamato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Stupendo il panorama, splendidi gli interni, meravigliosi i palazzi, ma ad altezza d’uomo a Firenze si spara degrado: le sue strade sono segnate dalle firme di frustrati che vogliono chiamarsi writers, ma che in realtà altro non sono che poveri sfigati in cerca dell’identità di cui mancano. Per anni l’amministrazione comunale ha lasciato correre, e ci ritroviamo in una situazione insostenibile, che l’amministrazione attuale non riesce a controllare, tante sono le lacune ricevute in eredità. E così ai muri indecorosamente segnati si uniscono atti di inciviltà evidenti, dallo sporco diffuso al parcheggio selvaggio, dalle deiezioni dei cani a quelle degli umani, dalla mendicità molesta ai dormitori all’aria aperta. Ecco i due volti di Firenze, la città più bella del mondo. E anche quella più triste.

15 giugno 2011

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Firenze pedonale. Elogio dei piedi e del cervello

di Gianni Greco



Una città si può usare con tutti i nostri sensi, con i nostri organi, col cervello, con gli arti e le estremità. E tra queste, all'umile servizio del resto del corpo che ci sta sopra, i piedi. I poveri, sottovalutati, snobbati, disprezzati, ignorati, utilissimi piedi. Firenze, col suo Centro Storico, è amica dei piedi, in quanto piccola entro le non più esistenti mura, che ancora però la contornano idealmente segnando il limite di una meraviglia riconosciuta dall’Unesco quale irripetibile Patrimonio dell’Umanità. Quell’Umanità che nacque camminando sui propri piedi: tutto quanto venne dopo fu frutto di ingegno, e soprattutto di perversione.
Immaginiamo i piedi famosi che hanno calcato le allora polverose strade della città: quelli di Dante, camminator polemico, immerso nelle sue più o meno oscure selve ma occhieggiante la minorenne Beatrice. Quelli di Leonardo, a sostegno di un'andatura un po’ ancheggiante, che lo guidano in Via della Stufa a trovare Monna Lisa del Giocondo per ritrarla. Quelli di Michelangelo, un po’ storto e nervoso, ingrugnito, pronto a criticare tutto e tutti, che si aggirano inquieti per Piazza della Signoria e paraggi. Quelli di Brunelleschi, incazzato fisso, rifrullanti avanti e indietro intorno alla Cupola in costruzione (ma i risultati si vedono).  Quelli ben calzati di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, mentre percorre la sua Via Larga che lo porta al Palazzo, fermato ogni momento da mercanti, banchieri, postulanti… Chi a Firenze ci vive, ma anche chi la visita, ha il privilegio di ripercorrere i passi di questi Grandi, che si servivano esclusivamente dei propri piedi, o al limite di quelli dei loro cavalli. E magari può fare una piccola riflessione: cosa sono stati capaci di fare quei famosi pedoni? E cosa dopo di loro, con tutti i nostri macchinari, le nostre ruote, i nostri motori siamo riusciti a fare noi di più grande e più bello? Inutile negarlo: niente. Siamo riusciti solo a rovinare tutto.
Firenze vive ancora sulle meraviglie create dai suoi antichi Geni. Abbiamo mantenuto tesori ineguagliabili, circondandoli però di macchine semoventi che spesso poco si muovono. L’aria non è più respirabile, le strade hanno perso ogni loro fascino, intasate da auto e motorini in marcia o in sosta. Un controsenso evidente. Dobbiamo continuare così o allentare la presa, aprire la morsa ridando ai piedi il loro grande, nobile ruolo? In questo periodo le pedonalizzazioni nel centro si moltiplicano, in nome di una vivibilità se non rinascimentale almeno “recupera mentale”. Giusto, anche se siamo arrivati al punto che i problemi possono solo spostarsi, non risolversi, e ad ogni pedonalizzazione da una parte, abbiamo intasamenti dall'altra. Il principio è corretto, ma a volte l’esecuzione affrettata. Prendiamoci tuttavia questi rari sprazzi di volontà migliorativa e usiamoli, i nostri piedi. E, respirando un’aria anche culturalmente migliore, chissà che qualche Genio non nasca ancora a Firenze, dopo secoli di imbecillità.

22 giugno 2011



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La "Gioconda" in prestito a Firenze? No mercì
di Gianni Greco


Non sempre chi nasce in un posto ci resta. Spesso nemmeno ci muore. Monna Lisa Gherardini per la verità a Firenze ci è nata e ci è morta. Suo marito aveva scritto in fronte Giocondo, e lei, senza volerlo, diventò famosa anche per questo. Sapeva sorridere, la Gioconda, e Leonardo, benché alieno dall’apprezzare le grazie femminili, riconobbe in quell’atteggiamento delle labbra un messaggio universale che solo lui avrebbe saputo lasciare al mondo. Lo fece, e tanto s’innamorò – più che della donna – della propria opera, che non l’abbandonò mai, portandosela in Francia e vendendola al Re, ma restandole vicino fino alla fine.
Firenze è famosa per creare geni immensi e poi respingerli. Grande e superba, si sente più forte di ogni suo figlio, ben sapendo che, comunque, la fama della città aumenta ad ogni esilio. Quali migliori ambasciatori dei sommi artisti nati nella sua culla? Ecco, quel quadretto dalle dimensioni poco significative, che quando lo vedi nella sua sala al Louvre ti commuovi solo perché sai che è il più famoso al mondo, è, insieme a Pinocchio, il miglior ambasciatore non solo di Firenze, ma dell’Italia tutta. Perché mai, come chiede qualcuno, dovrebbe tornare a casa? Ma soprattutto, perché in prestito? In prestito… a noi? Ma che, scherziamo? No. O tutto o nulla, o sempre o mai. Ma meglio nulla e mai. Perché Monna Lisa è un formidabile Numero Uno in eterna tournée, e tutti quelli che vanno a vederla devono pur rivolgere un pensiero all’Italia, e a Firenze in particolare. Se il sorriso più famoso del mondo alloggiasse da noi non otterrebbe lo stesso risultato. Sarebbe normale che ci fosse. Non ci serve, ce n’è abbastanza, qui, di ‘roba’. A parte il fatto che se la Francia non ci restituisce i latitanti figurarsi se ci molla la Gioconda… Perché anche solo chiederlo? Meglio goderci il bello scherzo che abbiamo fatto ai cugini d’oltralpe: i numerosissimi turisti che visitano gli Uffizi non cercano alcun capolavoro francese, ma quelli assai più numerosi che vanno al Louvre cercano tutti la Gioconda. E lei li manda qui, affamati della Primavera, del David, del Cupolone. Il Louvre è un museo eccezionale, grande e complesso, non basta una visita per goderlo tutto, e nemmeno due. Ma cosa sarebbe senza la Gioconda? E la Gioconda è Firenze. Il Louvre in realtà sta a Firenze.
Non c’è bisogno quindi che la bella signora venga qui a fare una capatina, a regalarci un sorrisino passeggero. Sarebbe come le offerte ‘a tempo’ di vari prodotti, pubblicizzate a un prezzo superconveniente che poi, scritto in piccolo, scopriamo ‘fino a’. Niente Gioconda ‘fino a’. Lei sta bene là dove Leonardo l’ha portata, dove parla di Firenze a chi affolla quella sala con un battito di cuore in più, salvo pensare che quel rettangolino non sia poi un granché, scuro, dietro il vetro antiproiettile… tutto lì? Poi però raccontano: “Io l’ho vista, la Gioconda!”.
La fama corre avanti ad ogni altra valutazione. Eppure, se guardiamo quell’immagine inflazionata, non possiamo fare a meno di cercare di capire il motivo di tanto successo. E chiedendocelo diamo ulteriore profondità all’enigma mai risolto dell’Umanità: perché viviamo? La Gioconda, che potrebbe rispondere, si limita a sorridere impercettibilmente, per non perdere il suo misterioso fascino e rivelare quell’accento non più puramente fiorentino causatole dalla lunga residenza a Parigi. Restez-y, madame.

27 giugno 2011



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Ma se Firenze vuole rizzarsi non mandiamo altrove chi deve volare
di Gianni Greco


Tra le cose rare (più spesso uniche) che possiede, Firenze annovera un aeroporto posto non a chilometri di distanza dal centro abitato come gli altri, ma proprio all’interno di esso. Ha lo stesso nome dell’astuto fiorentino a cui riuscì quello che nemmeno Colombo fu capace di fare: dare un nome all’America. L’aeroporto Amerigo Vespucci, detto anche ‘di Peretola’, dalla zona fiorentina in cui sorge, è piccolo, non può competere con quelli più titolati di lui, ma se io una mattina mi sveglio con la voglia di andare a Parigi, come mi succede spesso, esco di casa, vado al Vespucci e volo. Certo per la bellezza e l’importanza nel mondo di una città come Firenze il Vespucci è proprio misero, tanto che da tempo io l’ho pubblicamente ribattezzato ‘aero-aborto’. Potrebbe crescere, allargarsi, salire di rango? Sì. Ma.
Quasi sempre dalle nostre parti dopo un ‘sì’ arriva un ‘ma’. E’ da quando ho l’uso della ragione che ne sento parlare, ma niente si è mai mosso: la pista è quella che è, non può sopportare il traffico di aerei di maggior stazza e capacità… e non è mai stato fatto niente per realizzare i vari progetti di ampliamento, che tali sono rimasti. Si parla oggi insistentemente di una più lunga pista parallela all’autostrada (sì, perché l’aero-aborto ha pure il pregio di stare proprio all’imbocco della Firenze-Mare, anch’essa infilata dritta in città), ma su questa soluzione c’è il veto quasi sovietico dei cosiddetti ‘Comuni della Piana’, Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio e soprattutto Prato, che paventano il sorvolo. Pura cecità.
La fortuna di avere un aeroporto non più aborto in casa è di tutti quelli che di questa casa fanno parte. I vantaggi sono decisamente superiori agli svantaggi, ovviabili con accorte traiettorie di rotta. Basterebbe pensare al gran numero di visitatori in più e alla riqualificazione di realtà ancora provinciali e non sdoganate al turismo. Prato, ad esempio, considerata una città solo industriale, conserva invece tesori d’arte e architettonici notevoli, ma a quanto pare sa aprire le proprie porte soltanto ai cinesi, e si autoesclude dal circuito turistico, così come da un più ampio ambito commerciale, che da un aeroporto sulla soglia avrebbe solo da guadagnare.
Tutto fa pensare che ogni cosa rimanga e rimarrà come adesso, come sempre. L’immobilismo politico fa parte di queste zone dalla fine del Rinascimento in poi. Ma se Firenze vuole rizzarsi, e se vogliono rizzarsi Prato, Sesto, Campi, Pistoia, non facciamo stupidi ostruzionismi, non mandiamo chi deve volare a Pisa, a Bologna o a casa del diavolo. Abbiamo una rara creatura in pancia: facciamola nascere e non abortire.


04 luglio 2011



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Tassa di soggiorno: Firenze alle stelle
di Gianni Greco



Firenze si sente forte della propria fama di ‘città d’arte’, certamente meritata, e per questo non si è mai svenduta, particolarmente a livello di accoglienza. Ogni tanto escono notizie su gelati pagati a peso d’oro, bottigliette di acqua minerale a tre euro, esoso e dispari trattamento nei confronti dei turisti ecc. I prezzi degli alberghi non fanno eccezione, ci mancherebbe. Malgrado questo, visti ormai toccati i limiti previsti per le entrate dovute alle multe (i più alti d’Italia), la fame di soldi dell’amministrazione cittadina, ritenendo secco ormai il ‘pozzo’ dei residenti, si è rivolta verso le orde di visitatori che durante tutto l’anno, quando più quando meno, invadono la città (per forza, è ‘d’arte’). Perché dunque non ripristinare quel vecchio, apparentemente superato ma tanto comodo balzello chiamato ‘tassa di soggiorno’ ? Odioso già nel nome. Si può, perché lo prevede la nuova normativa del Federalismo Fiscale. Io personalmente ho sempre guardato con diffidenza ‘sto Federalismo: so cosa vuol dire dare in mano ai ras locali l’arma della tassazione. Semplicemente l’applicazione del massimo della pena… pardon… della tassa.
Venezia ce l’ha. E Venezia è ‘città d’arte’. Perché non deve averla anche Firenze? E ora Firenze ce l’ha, la sua bella ‘tassa di soggiorno’. Altre città seguiranno, si parla persino di Bologna, che di arte ne ha tanta, ma non è normalmente assediata dai turisti. Questo tipo di tassa oltretutto non erode il consenso dei cittadini votanti, tranne quello dei cittadini albergatori, che però ovviamente costituiscono una trascurabile minoranza. E allora giù, dagli al turista! Senza magari pensare che non solo i turisti hanno bisogno di una camera per dormire sonni tranquilli nella Città del Fiore, c’è anche chi ci viene per lavoro, o per qualsiasi altro motivo non sempre vacanziero. Ma tanto è tutta gente che vota in altri Comuni …
Normalmente si pensa che il balzello debba essere parificato ad ogni livello di soggiorno, tipo, che so, un euro a testa e via. E invece no, la diabolica mente dei balzellanti ha partorito un sistema molto più redditizio: un euro a stella. Ecco. Perché ci sono alberghi da una a cinque stelle, quindi chi può permettersi più stelle vuol dire che ha più soldi, ergo deve sborsare anche più euro di tassa. Una stella un euro, due stelle due euro, tre stelle tre euro, quattro stelle quattro euro, cinque stelle cinque euro. A notte. A testa.
Si può capire l’imbarazzo di una famiglia, ad esempio di quattro persone, che venga a soggiornare in un ‘tre stelle’. Dovrà sborsare la bellezza di dodici euro giornalieri in più rispetto a prima. Se le notti sono tre, come accade di media, gli euro saranno trentasei. “Badalìe… E’ son gli stessi sòrdi che servan’ a ppaga’ du’ gelati in centro”, dirà qualche arguto fiorentino, abituato a dipingere con fulminante ironia le più tragiche situazioni. “Tanto e’ fanno sempre come voglian loro!”, concluderà in un impeto di sano qualunquismo da autobus.
I soldi incamerati con questo sistema subdolamente vessatorio dovrebbero andare a costituire un fondo atto a migliorare le strutture turistiche della città. Dovrebbero. Il condizionale è obbligatorio, visto dove vanno a finire, ad esempio, quelli delle multe: a migliorare la fruizione delle strade cittadine? Non parrebbe. Però, diciamo la verità, dopo le proteste degli albergatori e qualche timore iniziale, alla fine non succederà nulla. Non ci sarà alcun moto rivoluzionario né flessione delle presenze a Firenze. Ci si abitua a tutto, siamo ormai ‘programmati’ a subire aumenti e disagi: quando mai una diminuzione, un trend favorevole, un miglioramento? E allora continuiamo a vedere le stelle, a Firenze. Sono così belle.


11 luglio 2011



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Firenze: La più bancarellata d’Italia, ci vuole ordine
di Gianni Greco


Storica decisione del Comune di Firenze: troppi venditori ambulanti nel Centro Storico, quindi bisogna tagliare le licenze, praticamente dimezzarle per riqualificare la città e il lavoro stesso dei bancarellai. Un taglio doloroso per chi ogni giorno conta su questa attività per campare, ma, ad essere sinceri, una di quelle operazioni chirurgiche urgenti e necessarie per salvare in extremis il classico moribondo. Il problema infatti non è questo taglio, derivante in fondo dalla naturale scadenza delle licenze, ma la loro moltiplicazione avvenuta negli anni precedenti, quando a troppi è stato concesso un pezzo di città con rinnovo decennale automatico. Così Firenze è diventata la più bancarellata d’Italia: dovunque spuntano questi inappellabilmente brutti ‘arredi urbani’ dall’aspetto informe lasciato all’anarchia della discrezione, soprattutto a ridosso dei monumenti più importanti. I turisti, voraci, comprano quello che trovano, e su queste bancarelle trovano le peggiori cose. Poi se le portano a casa, e che ricordo avranno di una città d’arte meravigliosa come Firenze? Paccottiglia di pessimo gusto. Perché è questo che si trova per lo più su quei banchi. E più aumentano gli ambulanti del nulla più diminuiscono invece quelli dei libri, ad esempio, ormai all’estinzione: quando questo succede c’è qualcosa che non va, profondamente, in una città che tanto si ammanta d’arte e (presunta) cultura.
Ricapitolando sulle bancarelle: 1) Sono decisamente troppe: solo in ‘zona Unesco’, 529; 2) Sono orrende, con le loro coperture cadenti e grigiastre; 3) Deturpano la vista di punti splendidi della città; 4) Vi si vendono souvenir di infima qualità che possono solo nuocere alla fama e al livello del luogo; 5) Vi campeggiano persino articoli fuori posto e fuori tema come maschere veneziane e maglie di calciatori… E, per finire, quello che nessuno ha forse mai notato: 6) Il loro continuo ambulare dal deposito al posto vendita e ritorno produce evidenti e profonde tracce pluridecennali sui muri secolari delle strette antiche vie, su cui sono lasciate incurantemente sbattere e strisciare… Insomma, una debacle per Firenze. Una delle tante sopportate, non si sa per quale serpeggiante masochismo, dai fiorentini.
Io personalmente da anni mi batto perché questa situazione cambi, coinvolgendo costantemente il Sindaco e l’Assessore al Decoro in pressanti (a volte un po’ asfissianti) segnalazioni. Con la mia Associazione mi sono buttato su questi problemi ricavandone anche qualche intimidazione e poco velate minacce da parte degli interessati. Una volta fui circondato in Piazza Duomo da certi lavoratori del kitsch, e mi mostrarono la faccia brutta. Ottimo risultato, avevo colto nel segno: quello che accade oggi me lo conferma. Batti e ribatti, segnala e risegnala, pubblica e ripubblica, alla fine qualcosa si muove. E anche se io non godo nel veder chiudere delle attività lavorative, non posso non pensare che una gran parte di esse abbia potuto esistere per decenni solo a causa di una malintesa interpretazione dell’amore per Firenze: soltanto chi odia la città può averne permessa una tale proliferazione.
Pesantemente coinvolto nel taglio (80 posti) è ovviamente il Mercato di San Lorenzo, un enorme, cencioso agglomerato di banchi dall’aspetto cadente che assedia l’omonima basilica, e dove si vendono quasi ovunque le stesse merci, per lo più oggi in mano a persone straniere in proprietà, affitto o subaffitto, con buona pace del mercato tipico fiorentino. Lì non risuona più il bel vernacolo, ma si levano alti e incomprensibili suoni gutturali. Intorno, tutto un mondo di illegalità e degrado. Ormai un suk. La situazione dovrà per forza cambiare: la salute di una città, che poi è la stessa di chi ci lavora, si misura anche da questi non secondari particolari.
Ma c’è di più e pure di peggio. Il centro è invaso dai venditori abusivi, che a loro volta straripano, e sarà bene che il Comune si metta in testa che se non riuscirà a risolvere questo trentennale ‘problemino’ i tagli alle bancarelle regolari non avranno alcun esito positivo per i suoi larghi piedi istituzionali. Perché la zappa, quando poi ci cade sopra, fa male, molto male…

18 luglio 2011



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Matteo Renzi sindaco star nazionale e divo del momento. Già, ma i fiorentini?
di Gianni Greco



E’ il divo del momento, il nome che più di ogni altro sboccia sulla bocca dei fiorentini, a volte affettuosamente elaborato: Renzino, I’ Bambino, Matteino, Ciuffettino, altre maliziosamente ribattezzato: Mister Bean, Bamboccio, Lischino, Spendaccino, Berluschino… Non gli perdonano la visita ad Arcore, ma lo fanno in maniera bonariamente arguta. Spesso lo apostrofano Silvio Renzi. Nessuno a Firenze usa il termine ‘rottamatore’, quello viene lasciato all’intera Nazione, che secondo l’opinione comune lo aspetta. E non dovrà aspettare molto, i fiorentini ne sono sicuri.
Intanto Matteo gira come una trottola tra un talk-show televisivo e l’altro, dai politici ai salottieri, fino a quelli satirici o di varietà: non se ne è fatto scappare uno. Su questa esposizione nazionale i fiorentini si dividono, con una certa prevalenza di chi è convinto che un Sindaco debba stare e agire nella propria città. Ma Matteo è strabiliante: riesce ad essere dappertutto, rimbalzando da una cerimonia a un’inaugurazione, da un incontro internazionale a una scuola, da un colloquio con i cittadini a una seduta in Palazzo Vecchio, da una festa di quartiere a una demolizione. E nel frattempo vola nei vari studi televisivi nazionali. Ce la fa. La sua ubiquità sfida quella di Sant’Antonio, la sua energia è quasi mussoliniana (e qualche ‘Fantozzi’ degli uffici comunali non disdegnerebbe il paragone). Grande energia fisica, buona salute, moto perpetuo, volontà incessante, autostima alle stelle. E gioventù spavaldamente sbandierata. Quasi tutti ritengono che abbia l’ambizione di arrivare molto in alto, e che Firenze sia solo il suo trampolino di lancio. Alcuni sembrano andarne fieri, altri però storcono il naso: vorrebbero forse averlo come Sindaco per altri cinque anni dopo il primo mandato… Carcerieri! Una misera (sia pur splendida) città sta stretta al giovane leader. Sì, ma il dopo-Renzi, che inevitabilmente arriverà, come sarà per Firenze? I fiorentini, anche i più critici, ormai bene o male assuefatti ai ritmi renziani, solo a pensarci vengono assaliti da acute crisi di kenofobia.
Io, personalmente, contando sul fatto di aver avuto un giovanissimo Matteo come ascoltatore radiofonico, cresciuto ascoltandomi e… apprendendo, gli preconizzai, appena fu eletto Sindaco, un futuro da Presidente del Consiglio al massimo entro 10 anni. La sua risposta fu, da fiorentinaccio: “Sie, vien via, caso mai Presidente di’ Consiglio Comunale di Rignano!”, citando il proprio paese d’origine. Ma non mi ha fregato con quella battuta, so dove vuole arrivare, e sono contento che ci arrivi. Firenze, che lui sicuramente ama, non potrà che avere dei benefici con un Renzi a Roma. Oltre al resto d’Italia, ovviamente.
Ha molti fans, Matteino, persino nella parte politica avversa, anche se a volte tra i suoi collaboratori corre il terrore. Infatti a livello operativo pare sia un osso duro per tutti: ho visto gente sbiancare con lui al telefono. Ma è normale che uno che ha due o tre marce in più esiga dagli altri almeno una marcetta. Lui è avanti: subito 100 punti, poi 100 luoghi… poco importa che punti e luoghi rimangano in parte inaffrontati, lui è già oltre, pedonalizza, sbaracca le bancarelle, pensa al futuro… E’ un uomo che coniuga continuamente il verbo ‘fare’, o, secondo molti, ‘farsi vedere’, e questo appare anche di più se lo si confronta con chi lo ha preceduto (vox populi).
Matteo c’è. Sebbene tanti problemi di Firenze siano ben lontani dall’essere risolti, soprattutto in materia di degrado, lui di cose ne fa, anche a rischio di sbagliare, e se non le fa tutte ne fa sempre più in un anno di quante ne siano state fatte prima in dieci. Questa è la percezione. La ventennale orrenda pensilina della stazione, odiata da tutti, l’ha o non l’ha buttata giù in pochi giorni? Al contrario qualche volta ha barcollato, ad esempio sulla ‘Stazione Foster’, faraonico e in gran parte inutile monumento all’Alta Velocità: prima no, non si deve fare, poi, beh… boh… Alla fine si fa. E una larga parte della città, destinata a viverci sopra, gli si rivolta contro, così come i commercianti e gli albergatori, che lui ha apertamente sfidato, ciò che nessuno prima aveva osato fare in una Firenze storicamente bottegaia.
Arroganza? Sfrontatezza dovuta all’età? Incoscienza? Coraggio? Fatto sta che Matteo Renzi appare agli occhi dei fiorentini (e non solo) come l’Uomo Nuovo, e probabilmente lo è. Una delle sue frasi preferite è “Mi metto in gioco”. E la Ruota della Fortuna, c’è da scommetterci, girerà ancora dalla sua parte.

25 luglio 2011



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La facciata di San Lorenzo? Accendiamo i fari
di Gianni Greco



Non si vive di solo pane. Può sembrare ovvio, ma è profondamente vero, come inevitabilmente lo sono i proverbi, saggezza di ogni popolo, compreso quello fiorentino. Se bastasse il pane, una città come Firenze non avrebbe il Battistero: basterebbe una baracca. Non ci sarebbe la Cattedrale di S. Maria del Fiore: basterebbe una chiesuccia. Niente Campanile di Giotto, niente Cupola del Brunelleschi: tutto volume in più. A che servirebbe la Torre di Arnolfo? Nemmeno a fare ombra. E la Loggia dei Lanzi, con tutte quelle inutili statue? A quale scopo scolpire un omone enorme e chiamarlo David? E perché riempire di stupidi quadri gli Uffizi, di immobili sculture il Bargello, di vecchiumi di ogni tipo chiese, musei, palazzi pubblici e privati? Non è roba da mangiare, non serve ad alcun lavoro manuale, non ti porta da nessuna parte, non ci si zappa nemmeno la terra. Non è pane.
Ed ecco la trovata di Matteo Renzi: perché non completare la facciata di San Lorenzo? Diventerebbe bella, candida, marmorea, progettata addirittura da Michelangelo, autore dell’attigua splendida Biblioteca Laurenziana e star delle contigue Cappelle Medicee. Altro che pane! Questa è una grande, sontuosa, dolcissima, bianchissima torta. Una ‘torta in facciata’, potremmo parafrasare. La facciata della Basilica attualmente assomiglia, guarda caso, a un grosso pezzo di pane integrale, o, se vogliamo, a Ollio, quello grasso che le torte se le prendeva sempre in faccia. E allora giù, spiaccichiamogliela ‘sta torta di marmo sulla facciata, e non se ne parli più. Poi dopo si ride. Di gioia, se il pasticcere sarà stato bravo. Da troppo tempo siamo a dieta, uno strappo alla regola non può farci che bene all’anima.
Non c’è niente di più utile dell’inutile. Viviamo in un’epoca di utilitarismo a tutti i costi, di disgregazione del Bello, di ignoranza generalizzata. Abituati ad abituarci a tutto, finiamo per abituarci all’abitudine del peggio. Così un progetto bello e inutile come il completamento della facciata di una grande e importante Basilica, patrimonio di Firenze e dell’Umanità, fa gridare alcuni allo scandalo: “Si facciano prima i lavori utili, si spendano meglio i soldi pubblici, si riempiano le buche piuttosto…”. Che bella una città senza buche e senza voli, senza speranze, senza poesia! Milioni di turisti affluiscono da tutto il mondo non per vedere fondi stradali perfetti, ma per ammirare come dall’odierna inadeguatezza di un impianto medievale spuntino meraviglie inenarrabili, le stesse di cui andiamo fieri noi fiorentini: inutili e utilissime.
Una facciata grezza non è la storia, ma solo una parte di essa, un passaggio. Ce la siamo sorbita per secoli, adesso è il momento di passare oltre. Immaginiamo la piazza liberata dalle bancarelle del mercato, finalmente, e con un gioiello in più che brilla negli occhi dei fiorentini stanziali e degli stranieri di passaggio. Ne vale la pena, San Lorenzo è di una bellezza sconvolgente, all’interno. Perché non dovrebbe esserlo anche fuori? Se poi c’è un progetto di Michelangelo, fosse anche uno schizzo, siamo salvi: niente ‘isozakate’, per fortuna. E chi, persino in Soprintendenza, dice che si tratterebbe di un’operazione superata, scientificamente inaccettabile e concretamente irrealizzabile per la mancanza di bravi artigiani e la forzata assenza del Maestro, dovrebbe forse farsi qualche iniezione di coraggio, un infuso di entusiasmo e  frequenti inalazioni d’Amore.
Avete presente la moneta da 50 centesimi? Riproduce il geniale disegno michelangiolesco di Piazza del Campidoglio a Roma. Molti pensano che risalga al ‘500, e invece fu messo in opera soltanto in tarda epoca fascista. Avete presente la facciata del Duomo di Firenze? Fu realizzata arbitrariamente ma con un risultato spettacolare solo nel 1887. Avete presente la facciata di Santa Croce? Completata nel 1863. Provate a pensare a Piazza del Campidoglio, Santa Maria del Fiore e Santa Croce grezze, proprio come oggi è San Lorenzo. Niente turisti a bocca aperta, niente immagine sul ‘cinquantino’ (perché in fondo anche quel disegno è nostro, come il 50% delle immagini sulle attuali monete. Non per dire, ma valiamo 3 euro e 60 contro i 28 centesimi di tutti gli altri messi insieme), niente fierezza fiorentina, niente orgasmi, niente torte: solo pane. Alla fine pure niente euro. E tanta noia. Ecco quando e quanto può essere utile l’inutile. Molti fiorentini, stupiti da tanta vitalità e disabituati ad essa da anni di tiraccampa’, danno addosso al Sindaco, accusandolo di megalomania, di scegliere solo obbiettivi mediatici e di servirsi del proprio ruolo per spiccare personali voli ben più alti trascurando le vere priorità della città. Ma consentitegli pure di mettersi in mostra e di volare via, purché lasci a Firenze qualcosa che resti, come tutti i grandi francesi hanno fatto a Parigi e, anticamente, uomini ancora più grandi a Firenze stessa. Un po’ di ‘grandeur’ anche da noi non guasterebbe, piccini come siamo diventati.
E riflettiamoci un po’: che ci hanno lasciato in fondo gli altri Sindaci? L’ultimo fu quel brav’uomo di Bargellini, che ci lasciò l’alluvione. Ma non lo fece apposta. Il resto è nebbia. Accendiamo i fari.


01 agosto 2011



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A Pisa e Firenze castrati i mutandoni erotici: dov'è lo spiritaccio toscano?
di Gianni Greco



Se c’è qualcosa che ‘tira’ sempre, se non altro per tendenza di mercato, è il sesso. Possiamo fare i finti casti, tacere o dissimulare ogni atteggiamento che tradisca lubricità, ma questo trapano invisibile ci perfora le viscere mentali di continuo, persino quando siamo sicuri di pensare ad altro. Non per niente la pubblicità ne fa un uso massiccio, sia in modo sfacciatamente evidente che con raffinata subliminalità. I produttori di gadget e souvenir, poi, ‘ci sguazzano’. Immaginiamo un turista che arrivi a Firenze e si metta in coda per ammirare il David penetrando (eccoci al doppiosenso) nello stretto ingresso dell’Accademia: si guarda intorno e trova su bancarelle e negozi quei deliziosi pantaloncini con su stampato, proprio al punto giusto, l’apparato riproduttivo, sia pur marmoreo, del famoso personaggio biblico. Si stupisce un po’, sorride e pensa di comprarsene un paio per far colpo in patria. Pare che gli spagnoli ne vadano pazzi.
A Firenze il ‘cinci’ del David impazza in centro: lo trovi ovviamente sulle immancabili statuette bianche che  riproducono piuttosto sommariamente le fattezze dell’originale, spunta solitario da vari manufatti dozzinali in resina, è stampato in primo piano su foulard, magliette e mutandoni. Insomma, è il nostro vanto. Si fa per dire, perché per la verità non è propriamente priapico, e tantomeno pornografico: in posizione di riposo oltretutto appare, rispetto all’enorme statua, di dimensioni abbastanza contenute. Michelangelo era un omosessuale, mica un maniaco. Peraltro i fiorentini dicono: “I’ Dàvidde ce l’ha piccino, sì… ma duro com’i’ mmarmo!”. Il che è inconfutabile, e non poco consolatorio.
Tutto ciò che è ritto, più ancora del ‘pisellino’ del David, fa tanto simbolo fallico. In Piazza della Signoria la drittissima Torre di Arnolfo ha una cima ingrossata che può ricordare un glande, e, sovrastando la Sede Comunale, dà l’idea di potenza imbattibile (peccato che i suoi abitatori abbiano spesso dato l’impressione contraria). Che succede però se la torre pende? Si pende a Venezia, Bologna, Roma e altrove nel mondo, ma, per antonomasia, si pende soprattutto a Pisa. Nella città di Galileo qualcuno ha pensato bene di sfruttare l’universalmente nota Torre per qualche divagazione sessual-umoristica. E così sono comparsi mutandoni e magliette con ogni tipo di pendenza, fino al definitivo ammosciamento, e i palloni da calcio posti alla base della fallotorre non lasciano dubbi sulle intenzioni degli ideatori. Apriti cielo! (Altro doppio senso?). Subito è scattata la caccia alle s(tr)eghe, gli indegni gadgets sono stati ritirati dal commercio e i poveri bancarellai che li esponevano si sono visti comminare multe da 500 eurofiorini. Puro Medioevo.
E a Firenze? Possiamo forse, dopo la défaillance sessuale pisana, continuare con l’immane sconcio del michelangiolesco ‘pipi’ esposto spudoratamente al pubblico ludibrio? Evidentemente no, se, come narrano le cronache, il Vicesindaco Nardella ha fatto richiesta al Governatore Rossi di fornire al Comune gli strumenti legislativi per contrastare questa ignominiosa vergogna. L’ignaro naccherino si è sentito rispondere che i Comuni hanno già la facoltà di agire in proprio nel Settore Pistolini. Ah, beh, allora… Eh sì, mi sa che dovremo presto dire addio al ‘lilli’ del David, così come a Pisa hanno già dovuto fare per le oscene pendenze della Torre. Medioevo puro.
Già, perché… E lo spiritaccio toscano? E il gusto innato per la burla? E la proverbiale vena sboccata di fiorentini, pisani, livornesi, etruschi in genere? Abbiamo dato i natali a Boccaccio e Pietro Aretino, ma non ce ne ricordiamo. E’ anche a causa di questi rigurgiti falso-moralistici che le nostre città stanno rapidamente perdendo le loro fondamentali caratteristiche per inchinarsi ad ogni tipo di globalizzazione, compresa quella sessuale. Cosa è rimasto, ad esempio, del ‘malfamato’ quartiere di San Frediano? Ormai tutta Firenze è malfamata, ma i malfamanti non parlano più il nostro vernacolo. Toglierci anche il sorriso di qualche nostrana grassoccia allusione non fa bene all’identità di Fiorenza, o nardelluccio caro.
Io posso testimoniare in prima persona quanta sete di radici ci sia in Toscana: 25 anni di radio giornaliera portata agli estremi limiti della toscanità hanno lasciato il segno in chi mi ha ascoltato. So quanto il toscano vorrebbe riconoscersi in se stesso, e quanto questo accada sempre meno.
Lasciate che i nostri falli svettino, e lasciate che ci autoburliamo delle nostre inevitabili moscezze. Siamo fatti così, perché cambiarci? Mi risulta che qualcuno abbia  fondato un’Associazione chiamata ‘Firenze Rizzati!!!’.
Ci sarà un motivo.

17 Agosto 2011



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Firenze prima in Europa, seconda nel mondo per i turisti. Ma per i fiorentini?
di Gianni Greco




Essere in cima alle classifiche ci fa sentire ganzi. I più ganzi. E Firenze fa sentire ganzi i fiorentini piazzandosi al secondo posto nel mondo e al primo in Europa in base a una classifica stilata dal prestigioso Travel+Leisure, periodico+sito che si occupa di turismo (ma non della vita dei residenti). Periodico prestigioso non sappiamo bene quanto e perché: ogni tanto ci propinano prestigi esteri che non siamo in grado di verificare, ma va bene così, ci mancherebbe. Abbiamo sempre saputo e sostenuto che Firenze è la città più bella del mondo, anche se… e qui vi rimando al primo articolo di questa serie: cercatevelo in fondo a tutti i miei titoli.
La classifica dice quanto segue: 1a Bangkok, con uno score di 90,49; 2a Firenze, con 89,92; 3a Roma, con 88,45; 4a New York City, con 88,40; 5a Istanbul, con 88,18; 6a Cape Town, con 88,06; 7a Siem Reap, con 87,90; 8a Sydney, con 87,84; 9a Barcellona, con 87,83; 10aParigi, con 87,78. Ho riportato la classifica per esteso perché di solito gli articoli di stampa non lo fanno, e ho aggiunto anche gli score, per capire meglio i distacchi. Firenze fa un balzo di una sola posizione, ma significativo, Roma di due, New York addirittura di sei. Parigi l’anno scorso non c’era, come Istanbul, Cape Town e Siem Reap, Bangkok e Barcellona restano stabili e Sydney cala di due posizioni. Ecco, così il quadro è completo. E, va da sé, siamo primi in Europa, col fiato di Roma sul collo, Venezia che arranca al settimo posto e Siena, nuova entrata, al nono. Non ci si può lamentare.
Sorvolando sui criteri di valutazione, espressi in base alle votazioni dei lettori di Travel+Leisure, che mi lasciano perplesso apprendendo che tra essi compaiono i prezzi e la cordialità della gente, leggo da qualche parte che l’articolo di dieci pagine su Firenze comparso nella stessa rivista in occasione di questa classifica “è stato ‘innescato’, come numerosi altri nei mesi trascorsi, grazie all’attività svolta da Apps, l’Associazione partners Palazzo Strozzi, attraverso il programma F.D.E. Florence Discovery Experience, che promuove le eccellenze della città presso la stampa internazionale”.  Tutto bello, tutto bene, tutto meraviglioso… Forse troppo. Perché è bene magnificare e diffondere nel mondo le meraviglie di questa città, ma il dubbio è che lo si faccia soprattutto a scopo economico. Insomma, dietro a tutto questo si muove un bel giro d’affari. Niente di male, per carità, ma la domanda che mi pongo è: e l’Amore? La ricerca del profitto mascherata da amore non mi è mai piaciuta. Perché sono convinto che chi ama una persona o una città debba tendere a migliorarla nei suoi punti deboli, aiutarla a diventare veramente la persona o la città ideale. Ma in questo caso, mostrando solo il bello e il buono, si dimentica il degrado che aggredisce anche la seconda più bella città del mondo (la prima, per noi).  Si può essere bellissimi ma bacati. Firenze il baco ce l’ha, ma nessuno osa rivelarlo al mondo: scemerebbero gli utili. Del resto è già il secondo anno che Matteo Renzi, mica scemo, si compiace di questi risultati, ma sottolinea che non bisogna sedersi sugli allori, perché c’è ancora tanto da fare.
Allora: il decoro reclama il suo orgoglio a Firenze, dove è attaccato da tutte le parti e non sufficientemente contrastato. Chi critica può passare, a un esame superficiale, da cattivo fiorentino, ma, al contrario, è proprio colui che più ama la città e vuol vederla prima in classifica non solo per i turisti, ma anche per i residenti. Siamo ben lontani da questo obbiettivo.
Sarebbe bene stilare anche classifiche del degrado, utilizzando parametri esattamente opposti a quelli della bellezza, che, nel caso di Firenze, si dà per scontata. Meno scontato appurare quanta sporcizia, quanti muri imbrattati, quante attività indegne di un centro storico Patrimonio dell’Umanità esistano nella Città del Fiore, e in base a questo correre ai ripari. Allora forse si potrebbe essere veramente fieri delle classifiche altrui. Primi nella bellezza, ultimi nel degrado: un’utopia? Firenze Rizzati!!!


23 agosto 2011



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Cari negozi storici, addio. Strage di memoria a Firenze
di Gianni Greco



Firenze, incredibilmente, non ha mai difeso se stessa dai tempi del celebre assedio del 1530 in poi. E anche in quel caso dovette firmare la resa. Non bastarono le fortificazioni rinforzate da Michelangelo Buonarroti, né la famosa partita di calcio tuttora annualmente rievocata. OggiAggiungi un appuntamento per oggi, cambiati i tempi, non riesce nemmeno a difendere i propri negozi storici.
La memoria di quando, nella seconda metà inoltrata del secolo scorso, la città si opponeva strenuamente all’ingresso di McDonald’s è tanto vivida quanto sbiadite ne sono le conseguenze. Altro che McDonald’s, ormai: viene amaramente da ridere al ricordo. Siamo pieni zeppi di kebab, minimarket di ogni squallore, cineserie, catene fatte in serie persino per il gelato, inglesate e americanate di ogni tipo. Anonime rivendite di pizza a taglio e cibi globalizzati di ogni genere hanno rimpiazzato le friggitorie tipiche della tradizione fiorentina, una volta colme di sanguinacci, sommommoli, coccoli, ciambelle e bomboloni; i pochissimi trippai-lampredottai rimasti sono costretti all’hot-dog, all’hamburger e alla Coca Cola per sopravvivere; la ribollita, la pappa col pomodoro e i fagioli all’uccelletto ormai li trovi solo nei ristoranti dai prezzi esosi. E questo per limitarci ai generi commestibili. Ma è ogni cosa che sta cambiando, disumanamente in peggio, segnando una progressiva e sempre più veloce perdita di peculiarità del luogo e dei suoi abitanti.
Le librerie, ad esempio. Dove sono finite le piccole, adorabili, intime, suggestive librerie piene di atmosfera e di odor di carta, e a quante unità si sono ridotte le bancarelle di libri usati su cui fare gustose, personalissime scoperte? Non sembra esserci più alternativa: o grandi supermercati editoriali dalle luci abbaglianti, tutti uguali, senza alcuna personalità, stracolmi di volumi tirati a lucido, o si chiude. Ma ora persino le grandi chiudono: che ce ne facciamo più dell’ingombrante oggetto-libro nell’epoca del virtuale tascabile onnicomprensivo? Così perdiamo un prezioso, fedele, insostituibile amico di carta, capace di rassicurarci anche solo facendosi tenere in mano senza necessariamente essere letto. E i cinema. Cultura che se ne va. Negli ultimi dieci anni a Firenze ne sono stati chiusi 29, di cui 9 negli ultimi dieci mesi. Ma sorgono le multisale, incredibili accozzaglie di disumanizzanti attività ricreative d’ammasso in cui il film non è più opera culturale, ma puro pretesto, meglio se di infima qualità. Il bello è che un sacco di gente mi dà ragione su questi argomenti, ma poi la stessa gente va ad affollare i mostri di cui sopra.
Siamo un gregge senza voce, tranne un debole belato. Chi deve alzarla, allora, questa voce? Se il gregge non ha più fiato, tocca a chi lo conduce: ma serve un pastore più attratto dalla qualità del pascolo che dagli affari che gli farà fare la lana delle proprie pecore.
E’ possibile che una città non riesca a proteggere la propria identità – se non per buon senso comune –  almeno per legge, decreto, delibera, ordinanza? E’ così fuori dal mondo inventarsi qualche divieto oltre a quello di sosta? Davvero l’indiscriminata libertà di commercio significa anche vera libertà di scelta? E che lo stesso succeda nelle altre città giustifica il fatto che debba necessariamente succedere anche nella nostra? E’ più che giusto adeguarsi al vivere contemporaneo, ma profondamente sbagliato rinnegare le proprie eccellenze o barattarle con le mediocrità altrui. Alla fine, schiacciata tra vetrine di grandi firme e infimi negoziucci da terzo mondo, priva di quella rassicurante e più umana, nostrana, riconoscibile via di mezzo, Firenze sarà proprio uguale a tante altre città del pianeta, e le sue bellezze mummificate a quel punto sembreranno persino superflui e fastidiosi bubboni fuori posto. Arriveremo a tirar giù il Duomo e Palazzo Vecchio per farli rifare da un qualunque Isozaki di passaggio.
Per andare avanti bisogna anche saper voltarsi indietro. Come potrebbe un saltatore con l’asta superare l’ostacolo senza conficcare il suo attrezzo nella buca? E allora forza Firenze, salta, sali, vola… Rizzati, ma partendo, come ogni grande albero, dalle tue profonde e sane radici.

30 agosto 2011



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Il "contemporaneo" a Firenze: regge il confronto con l'antico?
di Gianni Greco



Non è bello ciò che piace, è bello ciò che è bello, punto e basta. Il Bello e il Brutto non sono una questione di gusti, né di epoche o stili. Sono fattori oggettivi. Stupido sostenere che una cosa sia bella solo perché è antica, ma nemmeno si può dirlo soltanto perché è recente. Certo, è molto più facile scovare il Brutto tra le cose d’oggi che tra quelle di un tempo, a cui siamo affezionati. Noi a Firenze abbiamo accettato il ‘Biancone’, per esempio, ma Michelangelo quando lo vide esclamò: “Ammannato, Ammannato, che bel pezzo di marmo t’ha’ sciupato!”. E lo stesso criticone definì ‘una gabbia per grilli’ il tamburo esterno della Cupola del Duomo, tanto che l’opera fu sconsolatamente lasciata incompiuta. Noi oggi guardiamo il Nettuno di Piazza della Signoria e la Cupola del Duomo come capolavori indiscussi. E anche la facciata di Santa Maria del Fiore ci appare splendida, senza ricordare le polemiche sorte al suo tardo compimento ottocentesco, dovute al  guazzabuglio di stili e affollamento di figure. Ogni cosa è contemporanea di chi vive nel tempo in cui viene realizzata. Ora si tratta di saper distinguere il Bello dal Brutto indipendentemente dall’epoca. Ed è qui che casca l’asino. A Firenze, i’ cciùho.
Purtroppo il confronto è avvilente. Lo dice uno che vorrebbe il presente altamente competitivo col passato. Camminiamo per le vie della città e ci stupiamo per la quantità di bellezze che incontriamo. Ma non una di queste appartiene al presente. Non una. Ammiriamo la grazia, l’armonia di palazzi e monumenti, e nel contempo ne valutiamo la forza, la potenza, la resistenza nei secoli. La pietra, il bugnato meravigliosamente ineguale, la concezione spesso severa, mai leziosa, i colori poco appariscenti e dolci caratteristici di Firenze, i contorni, il lasciare poco spazio alle strade per contenere all’interno dei muri segreti meravigliosi… Quale opera contemporanea può stare alla pari o anche avvicinarsi a tali meraviglie? Nessuna, a Firenze. Per caso la nuova Piazza Santa Maria Novella, con la pavimentazione alienante e le ancor più alienanti ‘bare’ come panchine, in realtà monumenti all’incomunicabilità, parallele e sfalsate come sono affinché la gente non si incontri? No davvero.
Il pasticciaccio di Piazza Santa Maria Novella è tragico, e ci dimostra molte cose: il ‘contemporaneo’ fiorentino così com’è comunemente inteso e realizzato non solo è brutto e irrispettoso del contesto in cui sorge, ma anche altamente deperibile. E’ uno sconcio, infatti, come i materiali usati (e pagati) si deteriorino nell’arco di pochi anni, e proprio di fronte ad opere arditissime che sfidano i secoli. L’arte e l’architettura contemporanee si basano sul temporaneo. Ma noi vogliamo qualcosa che resti. Le panchine-bare, messe davanti alla facciata meravigliosa di Santa Maria Novella come sedili di fronte ad un’opera d’arte in una sala museale (e dire che i sostenitori del ‘contemporaneo’ a tutti i costi non vogliono la città-museo), sono già da buttar via dopo due anni. Le ‘installazioni’ a volte davvero orribili, le manifestazioni periodiche, i vari festival… producono tutta roba che sparisce, e spesso nella spazzatura, come dopo vent’anni è finita nella discarica l’orrenda ‘contemporanea’ costosissima pensilina di Toraldo Di Francia alla Stazione, mai piaciuta ai fiorentini che hanno dovuto pagarla senza averla voluta.
“E io pago!”… Ma voglio pagare per qualcosa che rimanga. E non è detto che si debba scimmiottare l’antico per creare il nuovo. I criteri devono essere due: giù le mani dal Centro Storico e dal panorama (già deturpato dal nuovo Palazzo di Giustizia), e miglioramento delle periferie attraverso un ‘contemporaneo’ bello e solido, che si erga a sfidare i secoli. E’ chiedere troppo? A Firenze, oggi, sembra proprio di sì. Che tempi sono quelli in cui non si riescono a costruire opere durature? E che gente è quella che non riesce a creare qualcosa che le sopravviva?


05 settembre 2011



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Firenze, antica capitale del Regno d’Italia, non può tollerare la prostituzione in strada
di Gianni Greco



Simulacri femminili si offrono per strada. Non è una cosa nuova: succedeva già ai tempi dell’antica Roma. Firenze fece parte di quel mondo, perché, non dimentichiamolo, fu fondata dai Romani. Le donne si appostavano ad ogni trivio, essendo la confluenza di tre strade più redditizia, e il triviale mestiere si è perpetuato nei millenni. I lupanari furono la trovata intelligente di un popolo che ci ha dato le basi del diritto. E il Diritto Romano ci ha indicato che luoghi legali chiusi e riservati dove attingere la gioia di un fugace incontro sono la miglior risposta alla prostituzione selvaggia. Noi per un certo periodo abbiamo seguito questa saggia soluzione, essendo impossibile e impensabile eliminare il fenomeno. Poi – correva l’anno 1958 – a una certa senatrice di nome Merlin, forte di un regime postfascista asservito al Vaticano, riuscì il colpo di mano: abolire per legge i casini, dando un colpo di spugna a tutto un mondo spesso squallido ma assai meno dannoso dell’attuale incontrollabile turpe mercato di carne umana. Abbiamo chiuso casini e manicomi, come a negare che esistano pazzi e puttane. Testa sotto la sabbia: classico atteggiamento mutuato da una Chiesa che nega persino l’uso del preservativo. L’Italia ospita uno Stato piccino piccino di cui è mor(t)almente succube. E così le strade si sono colmate di schiave che riempiono le tasche dei loro schiavisti invece delle casse dello Stato, che tanto ne avrebbero bisogno.
Firenze, antica Capitale del Regno d’Italia (quello dei bordelli), eccezione non fa, ci mancherebbe. E le sue strade di maggior scorrimento da una cert’ora in poi si popolano di oggetti sessuali di ogni tipo, tutti comunque riferentisi a immagini femminili. Le razze del mondo sono ben rappresentate: bianca, nera, gialla… La scelta è varia, compresa la variante con accessorio maschile. La pulizia? L’igiene? La sicurezza sanitaria? Niente di tutto ciò. Dopo un cliente un altro, senza probabilmente nemmeno ripulirsi. E c’è gente che usufruisce di questo scarsissimo servizio abusivo propagando malattie. Il punto è: come rimediare? Reprimendo? La storia ci insegna che la prostituzione è irreprimibile. Dobbiamo solo prenderne atto con coraggio e senza pregiudizi pseudomoralistici, ricordando che Cristo ebbe come prediletta proprio una prostituta, cosa che il clero ha da tempo dimenticato. Punire i clienti, questo sì che è immorale: siamo in un Paese libero. Perseguire gli sfruttatori, certo, come no, ma non ci si fa: meglio eliminarli. Come? Riaprendo le case di tolleranza sotto l’egida dello Stato, atto che potrebbe risolvere gran parte del problema, forse del tutto, rimpinguando oltremodo le casse statali e diminuendo così la pressione fiscale sul popolo tartassato. Ma per farlo ci vorrebbe una legge anti-Merlin che sembra lontana dal poter essere varata. Un referendum? Perché no? Se non fosse che i risultati referendari poi vengono di solito disattesi da governi in malafede…
Firenze, città illuminata, faro di cultura, di pedonalizzazioni, di fermento renziano, dovrebbe contemplare, tra i cento e cento punti del suo vivace Sindaco, anche quello di un luogo deputato alle gioie sessuali di chi ne avesse bisogno. Come, se non attraverso le case chiuse? Al contrario: case aperte in luogo ben delimitato dove riunire sotto un rigido controllo legale e sanitario le prostitute esistenti sul territorio. Un luogo d’incontro libero, in cui si possano intrattenere rapporti sessuali o anche no, popolato di filles-de-joie stipendiate pronte a togliere le tensioni al maschio inquieto che avrà pagato non la prestazione, ma un biglietto d’ingresso, potendo poi gestire la propria permanenza nel luogo stesso secondo opportunità, scelta e necessità. Senza scomodare la parola Amore lo chiamerei ‘Parco del Libero Incontro’, e da esso escluderei drasticamente papponi, schiavisti e trafficanti di ogni tipo. Niente gioco, alcol e droga, niente pratiche violente, controlli severissimi. E chissà che in un posto così non si possano intrecciare anche rapporti umani dei più veri…
Solo dopo aver fornito un servizio semplice e pulito, come in fondo dovrebbe essere il sesso, si può dare una caccia spietata a chi invade le strade, perché è inutile e anche parecchio stupido reprimere se non si danno alternative. Firenze potrebbe davvero essere un faro in Italia nel settore, in barba a chi finge di amare l’Umanità mentre la manda al macello.
E in questo caso, più che mai, varrebbe il nostro fiero grido di battaglia: FIRENZE RIZZATI!!! … O no? Ma sì!


13 settembre 2011



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Il traffico a Firenze: schiavo dei semafori. Aboliamoli!
di Gianni Greco



Arrancando con la propria autovettura sui viali di circonvallazione fiorentini, tra continui arresti e brevi ripartenze, si ha tempo per riflettere. Perché imprecare è inutile, fa solo male al fegato. La riflessione verte di solito sull’odissea che stiamo vivendo, tra una prima e una seconda, il consumato freno e il represso acceleratore. Ci chiediamo come si possa essere arrivati a questo punto, noi che ci vantiamo di avere un cervello pensante e alla spalle un progresso tecnologico che in teoria avrebbe dovuto migliorarci l’esistenza. La nostra memoria visiva corre alle tante, troppe pubblicità di auto che in televisione ci assalgono sfidando la terribile crisi che stiamo attraversando: sono sempre belle e libere, quelle auto, su strade deserte, accompagnate da voci sensuali che evocano situazioni idilliache. Ma noi siamo nella morsa. Non ci staranno mica prendendo in giro?
E allora ci viene da pensare a qualche soluzione che noi inermi cittadini non potremo mai attuare, come non potremo mai vedere in campo la nostra Nazionale di calcio ideale. Ma così, tanto per far passare quel tempo sprecato della nostra vita, proviamoci. Cos’è che ci rallenta? I maledetti semafori. Macchine infernali che comandano i nostri spostamenti, che con un occhio rosso ti dicono: “Fermati!”, e con un altro verde ti concedono qualche secondo per poter muoverti. E tu devi ubbidire a quei robot dispotici… Ma non eravamo noi gli esseri umani? Sì, una volta, adesso schiavi assoggettati a questi mostri che noi stessi abbiamo creato. I semafori devono sparire, prima che spariamo noi. E spariamo ha un doppio significato, che fa tanto ‘Un giorno di ordinaria follia’.
Nelle nostre città, e Firenze non fa eccezione, si pensa a tutelarsi non togliendo, ma aggiungendo semafori. Anche dove prima non c’era se ne mette uno, specialmente dopo un incidente mortale o perché ha da passare il tram. Questo è sbagliato. Una città ideale è una città senza o con pochissimi semafori. Ma com’è possibile? E’ possibile, qualcuno ci è riuscito. In Italia la prima fu Cattolica, che sicuramente non è grande quanto Firenze, ma che qualcosa ha da insegnarci. Io giravo in lungo e in largo la Francia trovando pochissimi semafori e moltissime rotonde. Noi abbiamo cominciato (tardi) a piazzare rotonde qua e là, ma in alcuni casi ci abbiamo anche messo i semafori (vedi quella di Piazza Pompeo Batoni, che se devo percorrerla tutta mi imbatto non in uno, ma in quattro stop semaforici!). Abbiamo tentato di scavare dei tunnel, che si sono rivelati povere buche raccatta-traffico, sottopassaggi inutili al termine dei quali un semaforo blocca tutto lasciando la macchine ferme in salita (vedi la vergognosa ‘buca’ del Ponte alla Vittoria).
Chi sovrintende alla mobilità a Firenze non ha mai capito che non è il numero di vetture ad impedire lo scorrimento, ma le continue interruzioni dovute ai semafori. Più volte si è tentato di renderli ‘intelligenti’, ma resteranno sempre stupidi, e a una presunta ‘onda verde’ ne corrisponderà sempre una (meno presunta) rossa. Però, se stupido è il semaforo, ancora più stupido si sente l’automobilista, che arriva addirittura a incolpare se stesso per essersi messo in quel pasticcio. No, tu non hai colpa, pover’uomo (e mi guardo allo specchietto). Le colpe vengono da lontano, dalla mancanza di coraggio degli amministratori che si sono succeduti nei decenni e che hanno sempre lasciato tutto com’è, a peggiorare da solo. Se hanno fatto qualcosa, oltre ad aumentare a dismisura il numero dei semafori, è stato nel settore del trasporto pubblico: bus e, di recente, il ripristino del tram dopo una sessantina d’anni di sonno delle rotaie. Sorvolando sui costi, le difficoltà e i non pochi lati ridicoli di quest’ultima operazione, tutto appare sbagliato, tutto da rifare: avendo un cervello pensante, e anche molto tempo a disposizione dato l’ingorgo, rifletto: prima avrebbero dovuto pensare allo scorrimento del traffico privato, e dopo all’impianto di linee pubbliche di uso metropolitano. Scavare veri tunnel, profondi e realmente bypassanti per le auto, rendendo inutile la gran parte dei semafori in superficie, e nei punti nevralgici regolare l’attraversamento dei pedoni con sottopassi sicuri. Non intersecare mai linee tramviarie con percorsi automobilistici. Laddove lo spazio lo consenta istituire sensi rotatori (ma non di quelli minuscoli come in Via Pistoiese, fabbriche d’incidenti). Non piazzare mai semafori sulle rotonde. Regole semplici, ragionevoli, comprensibili. Ma le teste messe a pensare per noi sembrano da sempre pensare ad altro.
Questo passa per la mente di chi è costretto non per propria colpa a procedere a passo d’uomo o, peggio, di lumaca (ché l’uomo a piedi va più veloce), costretto a perdere molto del prezioso tempo della propria vita, costretto ad inquinare tanto più quanto più il suo motore resta acceso, costretto a pagare a peso d’oro ogni momento di consumo di carburante in più. Costrizioni che rendono la vita dell’automobilista un inferno, il fondo del quale, al termine dell’odissea, si chiama ‘ricerca di un parcheggio’, e non infrequentemente ‘multa’.
Non diamo più per scontata l’esistenza dei semafori, consideriamoli dei nemici che attentano alla nostra tranquillità, alla nostra salute, e non rassegniamoci ad eseguire tutto quello che viene deciso in alto loco. Arrabbiamoci qualche volta, e se possibile (anche se assai difficile) mandiamo ai posti decisionali gente che abbia davvero a cuore la vita della città e dei cittadini. Cervelli senza semafori.


26 Settembre 2011



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Il G e il morso  (molto) amaro della censura
di Gianni Greco







Ho trasmesso in radio per 25 anni senza subire alcuna censura, e quelli sembravano già tempi oscuri, ma mai quanto gli anni che stiamo vivendo in questo Ventunesimo Secolo avanzato. Ho detto e fatto di tutto, ma proprio di tutto nel Ventesimo, e ora mi chiedo come sia stato possibile. Oggi non lo sarebbe più. Cosa può essere successo? Un regresso nel Nuovo Medioevo in cui siamo entrati, infarcito di authority, comitati, privacy, par condicio, bambini che non si possono più vedere in viso, parole che non si devono più dire ma che per assurdo si sentono nelle prime serate televisive e in bocca ai nostri allegri parlamentari, Premier in testa. Una serie di tendenze contrastanti che tingono il nostro quadro storico attuale di colori oscuri.

I segnali sono iniziati nel primo decennio del secolo, forse con l’avvento dell’euro, che ha reso tutti un po’ più nervosi raddoppiando di fatto le spese ma non gli stipendi, forse con il voltapagina dell’11 settembre, forse con la voglia di riemergere di forze repressive rimaste indietro nei decenni precedenti. Fatto sta che nelle mie trasmissioni già notavo una maggiore acrimonia nelle persone che raggiungevo telefonicamente, meno vere e più incarognite dalle paure iniettate nel loro dna attraverso l’ago delle mille suggestioni tutelative diffuse dalla tv. Sempre meno reazioni genuine, sempre più intimazioni di tipo legale o surreale tipo: "Guardi che la denuncio a Striscia la Notizia!". Abbiamo cominciato a perdere quel modus iocandi che aveva fatto il successo del mio Sondazzo negli Anni ’80 e ’90. E personalmente ho cominciato ad assaggiare, dopo tanta felice libertà, il morso amaro della censura.

L’emittente che avevo contribuito come personaggio di punta a lanciare (tanto che molti la chiamavano tout-court Radio "G") cambiò di proprietà, e per la prima volta nel 2007 dovetti inciampare nella vera parolaccia dei nostri tempi in materia di comunicazione: Linea Editoriale. In nome di questo mostro sguinzagliato dai 'padroni' si possono spengere le voci più libere, sostituendole sempre con banali e stupide voci imbecilli e appecoronate, a stento emergenti da fiumi di spot pubblicitari e musichette in voga. Dopo sei mesi di coraggiosa e insofferente resistenza fui costretto, per uscirne a testa alta, a ribellarmi persino durante la diretta. Così finì il mio rapporto con la radio che mi aveva visto per un quarto di secolo alla guida di una programmazione dall’impronta umana. Sostituito da un computer. Non ero più consono con la nuova Linea Editoriale. Cazzi loro, ma anche miei e soprattutto dei miei ascoltatori, che ancora piangono.

La seconda volta che mi sono imbattuto nella parolaccia in questione fu in tv. Lasciata la radio ero approdato subito alla dimensione televisiva, dove avevo come il mio solito reinventato il mezzo impiantando un programma giornaliero in diretta che già aveva smosso le acque stagnanti persino dentro l’emittente, dove la mediocrità giornaliera era stata messa a dura prova dalla mia ventata di nuovo. Dopo una stagione e poi un’altra condotte a ritmo di libertà presumibilmente ritrovata, ecco la reprimenda: da Roma arriva un altolà nientemeno che dal Comitato ministeriale per l’autoregolamentazione, allertato da una signora probabilmente assillata dalle vampate della menopausa, in cui si minacciavano forti penali da pagare.

L’emittente se la fece letteralmente addosso, chiedendomi, in nome di una Linea Editoriale spuntata fuori all’improvviso, di modificare la mia trasmissione. Preferii prima chiuderla sostituendola con un protestatario programma di poesia ‘contro tutti’, poi abbandonare volontariamente quel mondo piccolo e gretto in cerca di nuove possibili libertà. Ancora a testa alta, senza cedere a squallidi compromessucci.

Mi dedicai, tra le altre cose, al web, ravvisandovi il futuro. Attivissimo su Facebook e dopo un’esperienza istruttiva benché deludente (ma chi ti delude non sono i mezzi, sono sempre le persone, in questo caso un socio-editore) con una mia webTV, ricevo una richiesta di collaborazione da parte di una testata online di nome nazionale. Avrei dovuto scrivere degli articoli con per soggetto la Toscana. Lo feci puntando il mio obbiettivo su Firenze, e ne ricavai soddisfazione. Ebbi degli elogi su argomenti e stile di scrittura. Ma anche qui c’era l’inghippo.

La persona con cui avevo contatto fu, per motivi di contenimento dei costi (altra parolaccia), esautorata, e con i nuovi gestori, arroccati in un’isola bellissima ma lontana, non ho mai avuto un buon feeling. Ogni volta c’era qualche inghippo tecnico e non solo: io scrivevo mail protestando e segnalando, e a un certo punto hanno cominciato a non rispondermi. So cosa vuol dire, ci ero passato già nell’esperienza radiofonica. Non c’è di peggio, tra parti che lavorano insieme, della mancanza di comunicazione. Così è arrivato anche il momento della censura.

Nell’ultimo articolo, per dare più forza alle mie parole, mi ero permesso di usare espressioni come "non ci prenderanno mica per il culo?", diventata senza preavviso "non ci prenderanno mica in giro?". Poi avevo scritto "per pararsi il culo", sostituito da "per tutelarsi". Evidentemente a loro non piace una certa parte del corpo non solo metaforicamente utilissima. L’inciso "bastardi come siamo" non fu nemmeno rimpiazzato, ma tolto del tutto, e il verbo "incazziamoci" si trasformò in "arrabbiamoci".

Il tutto senza preavvertirmi per darmi la possibilità di modificare eventualmente io stesso i termini 'incriminati'. Arroganza nascosta dietro la maschera della consueta, stantia ma potente Linea Editoriale. La mia mail questa volta è stata un po’ più tranchante. E sapevo quale ne sarebbe stato l’esito. Ma non solo i bravi isolani con poca esperienza di linguaggi toscani hanno interrotto i rapporti con me (cosa che mi ha sinceramente dato un gran senso di liberazione), hanno, in più, arbitrariamente cancellato tutti i miei articoli già pubblicati, confermando una scorrettezza da dilettanti.

In questa selva di ipocrisie una cosa mi tiene vivo e mi soddisfa di me stesso: la mia dignità non ha mai chinato il capo alle Linee Editoriali e soprattutto alle teste chinate che se ne fanno scudo. Esco sempre da ogni situazione con la coerenza che mi ha insegnato mio padre con la sua vita, in cui non rinnegò mai, fino alla fine, idee diventate pesantemente scomode. La comodità non mi appartiene. La Libertà sì.

(*) Presidente dell'associazione Firenze Rizzati! (sito web ).



 
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