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"G" RACCONTA: INEDITI - Museo del G

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"G" RACCONTA: INEDITI

g racconta


LE PORCHESIE DEL "G"



Il "G", amante della grande poesia, ma anche di quella popolare e scollacciata, che fa parte della cultura toscana da Pietro Aretino in poi, per i suoi spettacoli sempre oltre il limite della cosiddetta decenza ha scritto varie poesie argutamente goliardiche che lui stesso ha battezzato "Porchesie". Alcune di esse ("Merda", "Adamo il segaiolo", "Eva la porca") sono state pubblicate nei suoi libri, altre sono rimaste inedite, anche se recitate centinaia di volte davanti a un pubblico divertito e in vena di sani sfoghi repressi.
Le pubblichiamo qui, per gentile concessione del "G".



Il glorioso Album delle Porchesie del "G", piuttosto provato dopo centinaia di rappresentazioni, esiste ancora, pieno di rime ardite.


ODE AL CULO

Culo, t’amo da morire,
solo tu mi fai impazzire
quando ti ergi maestoso
su due cosce, un po’ merdoso,
con il gluteo prepotente
ed incanti il mio serpente
che esce fuori dalla cesta
ben drizzando la sua testa.
Oh, divino simulacro,
scendi giù dall’osso sacro
per dividerti in due mele
dolci e buone più del miele.
E’ un piacere mordicchiarti,
con la lingua biascicarti,
perché un culo masticato
ti può rendere beato,
ed un culo largo alquanto
ti fa diventare santo,
mentre un culo che ti arrapa
ti fa proclamare papa.
Culo, io ti benedico
col pennello più antico
inondando la tua valle
con il fiume delle palle
che travolge la tua diga:
tu sei meglio della figa!
Certo a volte, non negare,
lasci un po’ a desiderare:
le tue chiappe spesso mosce
si ripiegan sulle cosce
o, al contrario, le hai imbottite,
sì, però di cellulite!
Poi succede, e mi dispiace,
che chi ha il seno più procace
spesso il culo l’abbia piatto:
questo qui è un dato di fatto.
Altre volte, oltre che molle,
culo, sei pieno di bolle:
quel che è peggio è che lo guardi
e te ne accorgi troppo tardi,
quando lei gli slip si toglie,
e ti passano le voglie.
Così se non chiudi un occhio
passi pure da finocchio.
Culo, tu ne fai di scherzi,
in proprio o per conto terzi,
ma bisogna stare al gioco:
senza te la vita è poco.
Senza te, dimmelo pure,
dove faccio le punture?
Senza te, dammi risposta,
dove infilo la supposta?
Senza te, mi sai spiegare,
come potrei mai cacare?
C’è chi ti chiama sedere,
c’è chi parla di sfintere,
chi ti appella deretano
e chi invece parla di ano.
Certo no, non è scorretto
dire che ti chiami retto.
Un mio amico, un certo Pietro,
parla sempre del di dietro.
Forse ha in sé qualche problema
chi ti chiama fondoschiena,
e chi adopra sei parole:
là dove non batte il sole.
Io, testardo come un mulo,
beh, continuo a dire culo!
Nome mai fu più perfetto:
quando è piccolo è un culetto,
quando è fatto a mandolino
puoi chiamarlo anche culino,
e se assomiglia a un bel pallone
puoi esclamare: “Che culone!”.
Culo, culo è sempre bello,
la delizia di ogni uccello,
anche di quello padulo:
viva sempre e regni il culo
che si palpa e si maneggia
(prrrrrrrrrrrrrrr!!!)
… Gli è scappata una scorreggia…
Io sul culo non discuto
perché mi è sempre piaciuto,
e non posso dirne male,
perché sono un gran maiale,
e nel caso qui in oggetto
più ne dico e più ne metto!
Io non son certo un ruffiano
e non lodo alcuno invano,
son sincero, non adulo.
Tutto il resto… vaffanculo!


IL BUCO

Cari amici, vi conduco
in un viaggio dentro il buco,
escursione affascinante
da intraprendere all’istante
non scordando vaselina,
burro o almeno margarina,
perché i buchi ed i buchetti
più che larghi sono stretti,
e conviene provvedere:
vedi il buco del sedere!
E’ da un buco che si nasce:
lui spalanca le ganasce
e noi scivoliamo fuori:
questo è il primo dei tuoi fori.
Sì, ma prima ancor c’è quello
Sulla punta del pisello
Del tuo babbo, che ha spruzzato
Il semin nel buco amato.
Quanti buchi abbiamo addosso:
buchi, buchi a più non posso!
Nelle orecchie a paralume
sempre piene di cerume,
ben due buchi abbiam. Nel naso,
che di moccio è spesso raso,
altri due. Poi c’è quel buco
dove spesso io introduco
cose con cui si balocca:
quello lì si chiama bocca.
Quanto all’occhio, sono incerto:
come buco non è aperto,
ma se tu ci infili un dito
grassottello e ben tornito
puoi arrivar fino al cervello:
vedi? E’ un buco pure quello.
Se poi scendi, te lo dico,
puoi trovare l’ombelico,
antipasto del piacere…
Più giù c’è di che godere!
A quei buchi ho già accennato,
ma c’è un fatto che ho notato:
voi spiegatemi perché
l’uomo due e la donna tre!
Son le solite ingiustizie,
le immancabili furbizie
delle donne emancipate:
le solite raccomandate.
Così l’uomo, poverino,
col buchin del pisellino
deve fare due funzioni.
Meno mal che c’ha i coglioni!
Ma nel caso dell’eunuco
(zac!)
c’è rimasto solo il buco.
Buchi dentro, buchi fuori,
non son buchi pure i pori?
Siamo tutti miliardari,
sì, di buchi, non denari!
Cosa mangi? Un ossobuco.
Buono! E tu? Mi mangio il buco
della classica ciambella.
Beh, sì, buona pure quella.
Non farebbe mai carriera
senza buchi il buon gruviera,
e una bella serratura
senza buco è una sventura:
non potrebbe più il guardone
osservar certe ficone
mentre tolgonsi i vestiti
per mostrargli i buchi ambiti.
Ha bisogno di un gran buco
chi c’ha la voglia del ciuco,
ma l’astronomo è più austero:
a lui basta un buco nero.
Se lei non te lo risciacqua
fatto un buco avrai nell’acqua.
Se non trovi un buco buono
prova il buco nell’ozono.
Se non trovi un buco sano,
beh, fai lavorar la mano.
Te lo imbuco dentro il buco,
con un buco ti seduco,
dentro il buco trovi il muco
e talvolta pure un bruco.
E’ da un buco che ti sbuco
e ad un buco ti riduco,
(bang!)
perché un buco ti produco…
Ma anche il buco, ahimé, è caduco!
E alla fin del tuo passato
dentro un buco sei calato…
Vita è breve, ne deduco.
E perciò… datemi un buco!




 
 
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