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GIUGNO 2006 - Museo del G

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GIUGNO 2006

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15 – LE CANZONI DEL CIELO.
4 Giugno 2006



L’IMMAGINE.
Ops… Le mutande!
La cabina telefonica è un’icona di quegli anni. Le sue porte insidiose potevano causare seri danni, ma non al gentiluomo di passaggio con tanto di cappello, che non disdegnava certo di compiacersi per l’inconveniente occorso alla ragazza in vena di shopping. Si può immaginare che l’aiuterà a raccogliere i suoi pacchetti, consentendole di tirare su le mutandine. Salvo, più tardi, avutone lo sperato permesso, essere lui a ritirargliele giù…
—————————————-

Ehi, “G”, che ti è preso? Continui a parlare del cielo?
Già… Non me n’ero accorto. E’ il terzo articolo consecutivo che gli dedico. Una vera trilogia. E potrei anche andare avanti, sai?
Mah… fa’ tu!
Tranquillo, ché faccio anche per te.
E io per te. Ricordati che siamo la stessa persona.
E che, non lo so? Ma con tutto questo cielo mi sono venute in mente le canzoni che ne parlano.
Sono un bel po’!
Per forza: tanto ci sovrasta questo gigante che non possiamo fare a meno di ispirarci a lui.
Perché ‘lui’? E’ maschio?
Come parola sì. Come Grande Madre forse no.
O Grande Padre?
Oh, non stiamo a sottilizzare, dai! Il cielo non ha sesso: è penetrabile e ci penetra al tempo stesso.
Quello di Renato Zero potrebbe essere gay.
Sì, e anche quello di Lucio Dalla… Ma fammi il piacere! Sono solo due canzoni con lo stesso titolo: ‘Il Cielo’.
Scritte da due signori che…
Non la buttiamo sul personale, OK?
Va bene.
Negli USA, la patria dell’ottimismo a tutti i costi, hanno scritto ‘Blue Skies’. Il cielo là deve essere sempre e per forza blu.
Ma attenzione, ‘blue’ significa anche triste.
Che tristezza! Nel Sudamerica invece l’importante è che sia pulito, almeno lui: vedi ‘Cielito Lindo’.
E in Italia?
In Italia ci siamo accorti che ‘Il Cielo è Blu sopra le Nuvole’, e passiamo il tempo ‘Urlando contro il Cielo’. Ciononostante…
‘Il Cielo è sempre più Blu’.
Esatto. Perché ‘Alzando gli Occhi al Cielo’ ci rendiamo conto che è immenso, e…
‘E non finisce mica il Cielo’, appunto.
Ma un signore coi piedi per terra e i gomiti ben saldi al bancone vedeva il cielo anche attraverso il fumo delle sigarette nonché i fumi dell’alcool, e cantava ‘Il Cielo dei Bars’. Si chiamava Fred Buscaglione.
Il quale, uscendo dal bar un po’ brillo, alzava la testa verso il cielo e urlava: ‘Guarda che Luna’! Ma forse era un lampione…
Già. Poi venne un certo Alan Sorrenti, che ci rivelò di essere tutti ‘Figli delle Stelle’. Questa canzone mi ricorda gli esordi radiofonici, quando ancora non parlavo al microfono, ma dirigevo la mia prima radio.
Che tempi!
Non migliori degli attuali, solo pervasi dallo spirito pionieristico che accompagnò la nascita delle prime emittenti locali. In quell’anno, come Direttore Artistico di Radio Tele Arno, feci le prime esperienze toste, che mi sarebbero servite molto dall’83 in poi, quando cominciai a tempestare (o impestare?) la Toscana con la mia voce.
E continui ancora…
Certo! La sede della radio era in una villa sulle colline di Fiesole, di fronte al meraviglioso panorama di Firenze. Lo studio di trasmissione aveva un grande oblò da cui chi trasmetteva poteva vedere tanto cielo. Avevo imposto un palinsesto con 40 programmi al giorno, quasi tutti parlati, e 24 ore su 24 in diretta. Il programma notturno si intitolava ‘Un Amico nel Buio’. I giornali ne parlarono. Nessun’altra radio faceva la stessa cosa, allora. Era il 1978.
E le notti…
Le notti erano magiche, piene di stelle anche quando si addensavano le nuvole. Era scritto nel cielo che dovessi fare questo lavoro.
‘C’est Ecrit dans le Ciel’, come recita una lontana canzone francese.
Oui. In quell’anno di esordio era scritto che dovessi trovarmi di fronte a due avvenimenti pesanti da affrontare radiofonicamente: la morte di Aldo Moro e quella di Paolo VI.
E come te la cavasti da novellino?
Abbastanza bene, credo. Improvvisando. Non ero e non sono un giornalista, ma forse proprio per questo riuscii a dare il giusto senso ai tragici eventi senza cadere nelle trappole del banale.
Ce l’hai con i giornalisti, per caso?
No, ci mancherebbe altro… Con certi giornalisti, magari… Quelli ripetitivi, ovvi, privi di voli se non di quelli già volati…
Quelli che se guardano il cielo vedono solo il cielo?
Esatto. Ma tu sai che c’è molto di più. C’è l’Oltre. E questo non lo si vede studiando per fare un mestiere. L’Oltre ce l’hai dentro o non ce l’hai.
Tu ce l’hai?
Parlerei così se non ce l’avessi? E ce l’hai anche tu.
Basta credere che esista ‘Il Cielo in una Stanza’, e la tua stanza diventa il cielo.
Anche se è un cesso?
C’è più cielo in un cesso, caro “G”, di quanto si possa lontanamente immaginare.
A proposito…
Non mi dire…
Sì. Scusami, ma mi è venuto un certo stimolo…
Ho capito Questo articolo è davvero stimolante, a quanto pare. Buon… cielo, “G”!
Grazie, “G”. Vado
Vai, vai… per l’amor del cielo!

SBRANG!!!

‘Tu Cielo tu Poesia’…



16 – UN GRAN… FORUM!
6 Giugno 2006



L’IMMAGINE.
Ops… Le mutande!
Un uomo lavora sotto il Sole cocente perforando la strada. Arriva lei e… puff! Come al solito! Giù le mutandine, su la gonna! Che guaio! Cosa passa per la mente del rude lavoratore? Cosa diventa secondo voi la perforatrice? E la strada?… Bravi, esatto! La strada diventa donna, la perforatrice pene, il lavoro un coito caldo e sudato. Ma è solo un attimo. Le mutandine torneranno su, la gonna giù, l’uomo a lavorare, la perforatrice a perforare, la strada a fregarsene.
————————————————-

Ciao “G”!
Ciao, me stesso!
Mi racconti come successe che ti ritrovarsi a ‘Forum’?
Toh… Me n’ero quasi dimenticato…
Dai, non è vero. Racconta, su!
Va bene. Io non avevo chiesto di andarci, ma come al solito qualcuno mi ci tirò dentro..
Chi?
Il settimanale ‘Epoca’, indirettamente. Era uscito un articolo sull’argomento ‘scherzi’, e il mio programma – ti pareva? – vi era citato come esempio di toscanissimo spirito burlesco. Lo lesse la redazione di ‘Forum’, il noto pastrocchio televisivo con tanto di giudice, contendenti e ospiti vari, e così una gentile e insistente signorina mi chiamò alla radio per chiedermi di parteciparvi.
In che veste?
Di ospite. Il tema della puntata sarebbe stato ‘le burle’, e io a sentir lei avrei potuto ben rappresentarle.
Per invogliarmi (?) mi disse che oltre a me avevano invitato anche Alessandro Benvenuti (che culo!). Un’accoppiata tutta toscana. Accettai, soprattutto perché mi andava proprio di fare un giro a Roma. Presi un giorno di ferie dalla radio e partii.
Che avventura!
Insomma… alquanto modesta, in verità. Ma utile.
In che senso?
In molti sensi. Adesso ti spiego, anche se sai già tutto. Arrivo al Tuscolano, dove ci sono gli studi di Canale 5, e trovo un brulichìo di gente. Alcuni volti noti, altri più scialbi, da ‘dietrolequinte’. Mi accorgo che si tratta di una catena di montaggio. Via, via, presto… A chi tocca? Finisce un programma, ne inizia un altro. Poca umanità, molto affanno. Niente lascia il segno. Come al solito alzo le antennine per captare ogni particolare, e avverto quasi un senso di scoramento nell’aria. Non è come si vede in TV: sono tutti molto tristi, scontenti, e hanno un bisogno di ospiti quasi famelico, tanto che mi chiedo se io non sia una delle tante vittime del loro cannibalismo. E certamente lo sono. Ora mi mettono nel pentolone, penso… Tecnici, segretarie, accompagnatrici ecc. non lesinano commenti e pettegolezzi sui VIP, sparati alla cieca mentre ti fanno accomodare o ti sistemano il microfono addosso. Mi portano da un autore della trasmissione, che mi fa qualche domanda su cosa faccio o non faccio. Poi arriva il mio co-ospite, il Benvenuti. Mi piacerebbe avere con lui un buon per quanto fuggevole rapporto, ma mi è impossibile: fuggevole è anche lui. Sfuggente, per meglio dire. Mi delude molto. Io gli parlo e lui non risponde. Sembra afflitto da un inguaribile quanto ingiustificato complesso di superiorità. Ma forse si tratta di timidezza, o paura di balbettare, com’è suo solito. Ci presentano e finge palesemente di non aver mai sentito parlare di me (o parlare me…), anche se nella nostra Toscana io non sono mica meno conosciuto di lui… Da quel momento resta una statua di sale. Boh, cazzi suoi!
Ma guarda… Ecco perché ha fatto un solenne flop a ‘Striscia la Notizia’: non parlava neanche lì! Ma veniamo alla trasmissione…
E’ in diretta, con una Rita Dalla Chiesa minuta, magrina e parecchio rugosa, squittente e di poca consistenza carismatica. Lo studio, più piccolo di quello che appare in TV, prevede pubblico presente e ospiti in prima fila. La sciocca statua di sale è seduta alla mia sinistra. Io non sono affatto emozionato, anzi non aspetto altro che di vedere, ascoltare, partecipare. Va precisato che ‘Forum’ non è mai stato al top delle mie preferenze televisive, ma l’occasione è ghiotta per osservare quel mondo dal di dentro.
E cos’hai concluso?
Una volta di più che la televisione è falsità. Tu ti aspetti che le ’cause’ e i contendenti siano veri, e invece, per quanto ho potuto constatare, sono falsi. Quasi quasi il giudice sembra vero, ma forse è impagliato. Il fatto è che il pubblico a casa non vede ciò che non è inquadrato.
E cioè?
Gli autori, che suggeriscono di continuo frasi e comportamenti agli ‘attori’ attraverso improvvisati cartelli o ampi gesti. E allora quelli si incazzano di più tra loro e dicono ciò che devono, per cui sono pagati.
Che palla! E il pubblico?
Appalude, gode del solo fatto di essere lì, appecoronato a Mamma-TV, che come ogni mamma va presa per quello che è: in studio la si accetta falsa quanto da casa la si crede vera.
La tua partecipazione com’è andata?
Nella norma. Brutalmente stritolato dai tempi televisivi, non ho avuto il tempo che avrei voluto per esprimermi completamente.
Certo, alla radio hai quattro ore al giorno tutte per te…
Però le mie cosine le ho dette anche lì. Rimpiango solo di non aver sputtanato la falsità della situazione, dato che eravamo in diretta.
Sarebbe stato ganzo!
Ma tutto sommato la mia parte l’ho fatta, parlando di burle telefoniche, in particolare di quella – mitica – attraverso la quale indussi delle persone a imburrare, zuccherare e poi leccare il proprio televisore per evitare certe radiazioni dannose…
Perfetta metafora della supina imbecillità del telespettatore, enunciata proprio in casa della mamma degli imbecilli!
Esatto.
Bravo!
Grazie!
Prego!
Prego! E poi?
E poi, di fronte a una controversia per la proprietà di un cane, suggerii di far decidere al cane, che era presente in studio, quale dovesse essere il suo padrone: sarebbe stato colui nella cui direzione la bestia avrebbe scelto di andare. Sensato, no?
Molto. E accolsero il suggerimento?
Macché! Come avrebbero potuto? Essendo tutto falso il cane sarebbe andato dal vero proprietario, che aspettava fuori inquadratura.
Ridicolo!
Proprio così. E al termine, per assurdo, venni pure avvicinato dall’autore con cui avevo parlato all’inizio, che si dimostrò piuttosto perplesso: durante la diretta erano arrivati in redazione vari messaggi di persone che inneggiavano a me, dicevano che ero forte, il meglio… e “G” qua, e “G” là… Evidentemente si trattava di miei ascoltatori che avevano assistito al programma. Un fatto normale, giornaliero per me. Ma lui mi guardava storto, come se avessi organizzato tutto io, semioscuro e velleitario conduttore radiofonico locale, per farmi grande e ottenere chissà cosa da quel carrozzone da Luna Park di periferia.
Il colmo! L’unica persona vera lì dentro eri tu!
Già! E ho sempre odiato i Luna Park!
Anch’io.
Tra questo teatrino indegno, la conduttrice petulante, il giudice burattino, la statua di sale sciocco, il pubblico condiscendente, il personale pettegolo e l’autore sospettoso, fu una vera liberazione poter riguadagnare l’aria aperta e andare a farmi un giro nella splendida Città Eterna insieme alla persona di sesso femminile che mi aveva accompagnato.
‘Vacanze Romane’, eh?
Sì, ma senza Vespa.
Bruno?
No, Piaggio.
Ah, giusto! Molto meglio il Foro Romano del ‘Forum’ televisivo!
Puoi giurarci, “G”!
“G”iuro! Salutami Audrey quando la vedi.
Sì, e tu Gregory! Peck… ato che siano morti.
Una prece.
Se vuoi ti presto il DVD.
Andata!



17 – LA FELICITA’.
8 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Ops… Le mutande!
Il ragazzo dell’ascensore coglie al volo la piccante scenetta, e gli balena in testa un’idea: “Signorina… ehm… Non può andarsene in giro in questo stato. Ehm… rientri nell’ascensore, così potrà risistemarsi…”. E ci spera anche, il satirello. Sa che se la ragazza rientrerà lui avrà buone chances di vivere con lei una travolgente avventura… ascensionale. “Grazie”, risponde lei. “Però tu esci, per favore”.
Sorrisino amaro e tramonto di ogni velleità. A meno che…
———————————————–

Ho letto bene, “G”?
Hai letto bene, “G”. Qui si parla di felicità.
Ma sei pazzo?
Forse.
Non sai che si tratta di uno dei concetti più misteriosi…
Più insidiosi…
Più sfuggenti…
Più incoscienti…
Più utopistici…
Più… oh, basta con le rime! Lo so. E io stesso non avrei affrontato l’argomento se non avesi sentito una frase che mi ha aperto gli occhi, rispondendo all’eterna domanda.
Quale, ‘Cos’è la felicità?’, per caso?
Già, cos’è?
Dillo tu. Chi l’ha sentita quella famosa frase?
Non far finta di niente. L’hai sentita anche tu.
Beh… lì per lì mi sfugge…
OK. Stavo pigramente occhieggiando la TV…
Vedi che serve a qualcosa?
Tutto serve. Ma fammi continuare.
Scusa.
Stavo dunque guardando la replica domenicale di un programma basato su interviste. C’era il vecchio ma non domo attore Arnoldo Foà. Conosci?
Ma certo! Una grande voce, un bel personaggio.
L’intervistatrice, fra le domande più o meno intelligenti, gliene pone una all’apparenza davvero scema.
‘Cos’è la felicità?’, forse?
Per l’appunto. E’ una di quelle domande pazzesche della serie: ‘Credi in Dio?’, ‘C’è vita dopo la morte?’, ‘Esistono altri mondi abitati?’, e così via. Domande a cui non c’è risposta se non d’opinione. E l’opinione, di per se stessa opinabile, si infrange di solito sulle bianche scogliere…
Di Dover?
No, dei luoghi comuni, tipo: ‘Credo che ci sia un’Entità Creatrice, ma non so se sia il Dio che ci viene descritto. Forse è la Natura…’, oppure: ‘Deve esserci qualcosa dopo la vita. Non posso concepire che tutto finisca con la morte fisica’, o anche: ‘Nel cosmo c’è un numero infinito di astri. Deve per forza esistere qualche altro pianeta abitato. Non possiamo pretendere di essere gli unici esseri viventi dell’Universo’. Insomma, risposte ovvie. Inutili, come le relative domande.
E a quella sulla felicità come si risponde di solito?
‘La felicità non esiste. Esistono solo dei momenti felici’.
Già! E invece?
Invece la risposta che ha dato il saggio Arnoldo ha illuminato a giorno le stanze buie della mia coscienza.
Accipicchia! E che avrà detto mai?
Non ha detto ‘amore’, non ha detto ‘serenità’, non ha detto ‘soldi’, né ‘fede’, né ‘sesso’. Ha detto ‘cultura’.
Cultura?
Sì. Uno può anche vivere bene perché ha i soldi, può godersi la vita in molti modi, ridere e scherzare magari, ma senza cultura non potrà mai essere felice.
Quindi…
Senza cultura non c’è felicità.
Però!…
Una grande verità. Se ci pensi bene è proprio così.
Quindi l’ignoranza è infelicità.
Esatto.
Pensa a quei poveri calciatori pieni di milioni…
E che non sanno un cazzo!
Si trombano le veline…
E credono di essere felici!
Ma cos’è l’ignoranza?
E’ essenzialmente la mancanza di curiosità.
Allora la curiosità è cultura.
E la cultura è felicità.
Non fa una piega. Ed era proprio la risposta che aspettavo da sempre.
Ora sai.
Anche tu sai.
Ma cosa sappiamo?
Di essere felici, “G”.
Cazzo, è vero!
Meno male. Ah, senti, mi presteresti 1.000 euro?
Non ce li ho.
Ma chi se ne frega?
Siamo felici!




18 – LA SENTINELLA.
10 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Ops… Le mutande!
Questi bus che non passano mai… “Ehi, signorina, vuole uno strappo?”. Alle mutande, penso io, che, guarda caso, sto transitando al momento opportuno con la mia Cadillac rosa proprio da quelle parti. Poi mi accorgo che in qualche modo lo strappo c’è già stato. Meglio! “Eh, quasi quasi…”, mi risponde, togliendomi le parole di bocca. Mi dispiace, amici, ma questa me la imbarco io. E giuro che non le darò neanche il tempo di ritirarsi su le mutandine! “Prego, salga…”. Ghuhghurgh…
————————————————

Ehi, “G”, tu l’hai fatto il servizio militare?
Sì, con te.
E che ricordi hai?
Molti. E tutti utili alla vita.
Ma ti è piaciuto farlo?
Assolutamente no. Sono contrario alle armi, alla guerra e alla violenza. Ti basta?
E avanza. Ma allora, l’utilità?
E’ proprio quella: vivere forzatamente in un ambiente ostile sviluppa l’introspezione, la curiosità e, di conseguenza, come sai, la cultura, che genera felicità.
Puoi farmi un esempio di cultura acquisita attraverso l’esperienza negativa della ‘naja’?
Sì, come no?
Son tutt’orecchie!
E’ un pomeriggio assolato d’Estate, e un soldatino è solo a fare la guardia a una polveriera, detta anche santabarbara, insomma un posto pieno di esplosivi dislocato in zona collinare e isolata. Intorno boschi e radure. Grossi sassi affiorano dal terreno. La sua consegna è di urlare ad ogni rumore sospetto: “Alto là! Chi va là?” per tre volte, e se non arriva alcuna risposta sparare un colpo in aria col suo fucile a scopo intimidatorio. E se malgrado ciò qualcuno avanza senza farsi riconoscere attraverso la parola d’ordine (che cambia ogni giorno), sparargli decisamente addosso.
Che situazione!
Di merda. Ma in questi lunghi turni di guardia assolutamente solitaria di solito non succedeva proprio niente. Al massimo venivano a farti un’ispezione per vedere se eri sveglio.
E il soldatino era sveglio?
Sì, tanto che una volta stava per sparare addosso a un superiore che aveva dimenticato la parola d’ordine.
Azz!
Ma non sparò, anche se quasi quasi…
Alla faccia del non-violento!
Quasi-non, con certa gente. Insomma, il soldatino si organizzò contro l’inedia e la facile pratica della masturbazione in servizio.
Come?
Si portò un libro da leggere.
Quale?
‘I Diari’ di Franz Kafka.
Come dire il suo blog…
Se vivesse oggi si chiamerebbe così. Era una lettura di un interesse stravolgente, forse acuito dal caldo e dalla solitudine. Anche quel soldatino stava vivendo un’esperienza kafkiana, in fondo.
Interessante.
E ci fu una frase che mi colpì a tal punto da cambiarmi praticamente la vita.
Perché quel soldatino eri tu…
Inutile dirlo.
Dai, spiattella la frase.
In realtà è un insieme di frasi, bellissime, e sembravano scritte apposta per me. Anzi, ‘da’ me. Kafka scriveva:

UN INTERMINABILE TORBIDO POMERIGGIO DOMENICALE CHE INGOIA ANNI INTERI, UN POMERIGGIO FATTO DI ANNI. A VOLTA A VOLTA DISPERATO NELLE VIE DESERTE E CALMATO SUL DIVANO. STUPORE ALLA VISTA DELLE NUBI ASSURDE, INCOLORI, MIGRANTI QUASI INCESSANTEMENTE.
TU SEI DESTINATO A UN GRANDE LUNEDI’!… BEN DETTO, MA LA DOMENICA NON FINISCE MAI!

Avevi ragione. Stravolgente. Perfetto compagno di solitudine.
Le ore non passavano mai, e sentirmi accanto e talmente affine quest’uomo mai conosciuto mi sollevava, mi consolava. Adoro chi con le parole sa pennellare una sensazione, un sentimento, un’attesa…
Grande Kafka!
Per lui la domenica non finì mai. Le sue maggiori opere (tre soli romanzi) furono pubblicate postume. Era forse pensando a lui che Virginia Woolf scrisse: ‘La vita è un sogno da cui ci si risveglia morendo’…
O a sognatori come te, “G”.
O te, “G”…
No, i geni non pensano a nessuno quando scrivono. Pensano a tutti. E fra tutti c’ero anch’io, soldatino sperduto e incongruo messo a guardia per un’intera settimana di un fottuto deposito di esplosivi.
E il tuo lunedì?
Finché dura la domenica non arriverà. E finché non arriva è possibile sperare. La domenica è lunga, lunghissima per chi sogna la vita.
Buon pomeriggio domenicale, “G”.
Grazie, altrettanto. Ma c’è almeno l’ora legale?
Per il momento sì.
Meno male…


*** SPECIALE ‘CODICE DA VINCI’ ***
12 Giugno 2006


LA MADDALENA AVEVA L’UCCELLO?
Un piccolo contributo alla chiarezza su S. Giovanni/Maddalena nell’Ultima Cena di Leonardo.

Dando uno sguardo a questo studio per il S. Giovanni del Louvre (chi lo chiama Bacco, chi Angelo Incarnato), apprendiamo che certe figure pseudo-feminee leonardesche erano dotate di… solidi attributi maschili.

Guarda un po’ in basso, Dan Brown!



19 – OGNI PIACERE VUOLE ETERNITA’.
13 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Bambole.
“Ciao, sono carina, vero?
Sono la tua ragazza, se vuoi.
Scoprimi alla prossima immagine. Non ti deludero’.
Ciaohhh…”.
——————————————–

Bel titolo, “G”. E’ tuo?
No, ignorantone! E’ una frase di Nietzsche.
Ma va’!…
E l’ho scelta per entrare in argomento.
Eternità?
No, piacere.
Ah… In che senso?
Nel senso di orgasmo.
Glub!
Ti fa effetto?
Insomma…
Frena i tuoi bassi istinti, “G”, ed eleva i pensieri.
Ci proverò.
Ha ragione Nietzsche, ma l’eternità per il piacere può sembrare una pura utopia.
Sembra anche a me. Quanto dura un orgasmino?
Non usare il diminutivo, per favore. Però è vero, dura veramente poco.
Certo, se durasse di più, mettiamo mezz’ora, il mondo si fermerebbe, e forse il raggiungimento dell’estasi non sarebbe così prezioso.
Hai toccato un punto importante.
Il ‘punto G’?
Dai, non fare battute sceme. C’è di più. Quanto dura un tuo orgasmo?
Trenta secondi.
Anche il mio. E non è poco, rispetto ad altri.
Ma come hai fatto a cronometrarlo? In quei momenti non si ha la freddezza per…
E tu come hai fatto?
Ehm… diciamo che abbiamo i nostri metodi.
E quanti ‘colpi’ riesci a dare nel corso dell’orgasmo?
Cinquanta.
Come me. Che coincidenza, vero?
Ma tu urli?
Un casino. E a volte piango.
Durante?
Durante.
Succede anche a me. Piango di rabbia, perché dura troppo poco.
E’ vero. Ma a volte le donne si spaventano.
Eh, di solito l’uomo fa il ‘duro’, ed emette solo un cupo gemito o un pesante respiro. Mica è una donnicciola, lui!
Come lo sai?
Me l’hanno detto.
I maschi?
No, le femmine, grullo!
E loro te lo dicono?
Certo, e mi dicono anche che il baccano che faccio io non lo fa nessuno.
Troie!
No, esperte.
E che altro ti dicono?
Che hanno conosciuto almeno un uomo col cazzo enorme.
Tremendo! Castrante! E tu?
Io alla fine del rapporto srotolo interamente il preservativo per far credere di averlo riempito tutto.
Baro!
Oh, insomma… l’importante è che lei sia rimasta contenta.
E di solito è contenta?
Sì, e pure rimasta.
Meno male.
Ma torniamo al titolo di questa nostra chiacchierata. Dura poco ma vuole eternità, il piacere. Come si concilia tutto ciò?
Forse considerando il tempo come entità assolutamente relativa.
Bravo. Prendi il fulmine: è l’orgasmo del temporale, forma acuta e breve di un lungo momento di sommovimenti nuvolosi. Dura un attimo, ma è sublime.
E mette a contatto il cielo con la Terra.
E’ vero. Oggi sei particolarmente acuto.
Come un orgasmo…
Già. Ecco, immagina un fulmine al contrario.
Cioè?
Che parta dalla Terra e arrivi al cielo.
Ho capito! Tu vuoi dire che…
Che l’orgasmo è il momento più alto della nostra esistenza, e che costituisce il nostro estremo – forse unico – punto di contatto con il Divino.
Più alto della preghiera?
Molto di più. Non è forse Vita? Natura? Estasi?
Ma lo sai che hai ragione? Però…
Però?
Anche con una puttana? Anche col preservativo? Anche… da soli?
Anche. E’ il mezzo che Qualcuno ci ha dato per parlare con Lui.
Ma io non ci riesco.
A fare cosa?
A parlare con Lui in quei momenti.
Provaci. Godi lo stesso, sai? E forse di più. Per un attimo puoi toccare la Verità. Fare veramente l’Amore.
Cazzo!
Sì, proprio con quello.
E pensare che è considerata una cosa sporca…
Tutt’altro, caro “G”.
Lo sai che faccio? Vado a farlo in chiesa. Così ci riesco meglio.
Ehm… te lo sconsiglierei… Lì non c’è Vero Amore. Solo chiacchiere e crocifisso. Chiacchiere e crocifisso.
OK, OK… A letto va bene?
Dovunque. E’ la testa che conta.
E le palle.
Perché, che forma ha la testa?
A palla!
Come la Terra, gli astri, forse l’intero Universo.
E il tempo?
Magari è a palla anche lui, e in ogni caso, come si diceva, è relativo. Ogni piacere vuole eternità. Ma gli basta un attimo per averla.
Concetto profondo. Grazie “G”. Ah, scusa, mi assento un attimo.
Di eternità?
Ehm…
Glub!




20 – POESIE PROGRESSO.
15 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Bambole.
“Ecco qualcosa in più di me. Sembro molto giovane? Lo sono. Mi hanno appena fabbricata.
Io sono una bambola. Non sono né minorenne né maggiorenne. Qualunque cosa tu voglia fare di me non mi lamenterò. Vuoi comprarmi?”.
———————————————-

Una domanda, “G”.
Spara!
Ti sei mai drogato?
Accidenti, lo sai che me ne sono dimenticato?
Di esserti drogato?
No, di drogarmi.
Meglio, no?
Non lo so, caro “G”. Oggi se non hai fumato almeno uno spinello in vita tua sei fuori.
E tu ti senti fuori?
No, io mi sento dentro. Veramente dentro.
Perché ci sei dentro?
No, perché ne sono fuori.
Fuori e dentro, dentro e fuori… Mi sembra più un’allusione sessuale.
Forse perché io il sesso lo faccio, non uso sostitutivi di sensazioni. Non sento il bisogno di alterarmi con sostanze estranee al fisico e alla ragione.
Sarà perché non hai mai provato. Se avessi provato…
Sarei un disgraziato. Tu hai provato?
Ovviamente no. Per colpa tua.
Dovresti ringraziarmi.
Grazie…
Prego. E leggiti questa mia ‘poesia progresso’:

SE LA VITA TI DELUDE,
SE LA SOCIETA’ TI ESCLUDE,
SE IN FAMIGLIA NON C’E’ AMORE
E OGNI TUA SPERANZA MUORE,
NON PENSARE CHE AGGRAPPARTI
AD UN FALSO AMICO E ‘FARTI’
TI TRASFORMI IN BELLO E BRAVO:
PRESTO TU NE SARAI SCHIAVO!

GIA’ SEGNATA E’ LA TUA SORTE:
SE ANCHE RESTI VIVO, E’ MORTE!

GIOCA BENE LE TUE CARTE:
DROGATI DI AMORE ED ARTE,
DI NATURA E CIBI BUONI.

DROGA, FUORI DAI COGLIONI!

Ben detto! E poi torna tutto: metrica, rime…
Ma soprattutto la logica.
E quante ne hai scritte di queste ‘poesie progresso’?
Alcune.
Me ne farai leggere ancora?
Ma certo. Ora però medita su questa. Non c’è legge, se non la tua, che possa impedirti di distruggerti. E non è un discorso moralistico.
Ci credo. Vado subito a meditare.
Come?
Giocherò a carte, farò l’amore e visiterò un museo, poi andrò a fare un bel pic-nic nel bosco. Dopodiché uno spinellino…
Non hai capito un cazzo, scemo!
Dai, scherzavo… Su, facciamo una partitina a carte!
A che cosa giochiamo?
Alla vita.
Ma è un solitario!
E noi quanti siamo?
Hai ragione: la propria partita ognuno deve giocarsela da solo.
E vincere, in ogni modo.
Anche barando?
Solo a fin di bene.
Bene, allora abbiamo già vinto.
Complimenti!
Auguri!
Alé… Oho…


21 – VITTORIO EMANUELE E IL TRAVESTITO.
17 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Bambole.
“Ehi, maschiaccio, lascia stare quell’anoressica di prima. Guarda i miei argomenti. Che ne dici?
Pensi che non sia una donna vera? Beh… hai ragione…
Ma provami e poi sappimi dire!”.
——————————————–

Ma tu, “G”, inserisci anche qualche articolo di attualità in questo blog?
Perché no? L’ho già fatto.
Ah, è vero, con ‘Il Presidente’, articolo numero 3, e ‘Un calcio all’onestà’, articolo numero 9.
Sì, tutto resta nella Storia, dal momento che sopra ci leggi una data. E quando posso dare un contributo alla migliore comprensibilità di un fatto, perché non attualizzare il blog?
Penso che tu ti riferisca alla notizia sensazionale di queste ore: l’arresto di Vittorio Emanuele di Savoia per associazione a delinquere e sfruttamento della prostituzione. Gulp!
Esatto. A tal proposito vorrei riportare all’attenzione di chi legge un brano del libro ‘Io, la Romanina – Perché sono diventato donna’, scritto da Romina Cecconi, ex Romano, un noto travestito fiorentino attivo già negli anni ’60.
Sì, l’ho letto. E’ molto interessante ed istruttivo…
Per forza l’hai letto! E avrai letto anche la parte che riguarda l’incontro della ‘Romanina’ con Vittorio Emanuele in Svizzera.
Molto piccante… Me la fai rileggere?
Subito. e la facciamo leggere anche agli amici che ci visitano. Il libro è del 1976, edito da Vallecchi. Ecco cosa vi appare da pagina 168 a pagina 170:

‘Vittorio Emanuele, il principe, il re mancato, mi attirava particolarmente.
Un giorno che doveva aver bevuto più del solito, e mi si avvicinava con un’audacia che niente aveva di principesco, mi offrì di accompagnarmi all’albergo.
Accettai, lusingata dal fatto che un personaggio così importante potesse rimanere solo con me per qualche ora.
Mentre eravamo in ascensore mi accorsi che gli interessava una sola cosa: fare l’amore con me. Qualunque cosa potesse costargli. Gli offrii da bere e creai subito un clima molto intimo. C’era pochissima luce nella stanza, avevo acceso soltanto uno degli abat-jour sui comodini ai lati del letto. Si sedette in una poltrona sorseggiando il mio cognac. Mi chiese qualcosa di Firenze. Con voce lenta, molto profonda e sensuale, gli ricordai angoli caratteristici che diceva di aver visto da bambino. Mi divertivo a risvegliare sensazioni lontane, ricordi sfumati; lo immergevo sempre di più in un’atmosfera di nostalgia, di tristezza calda, dove era bello abbandonarsi.
Per quanto fosse chiaro che avremmo finito col fare all’amore non volevo essere io la prima a tentare un approccio. Del resto, in tutti i miei sogni di bambina, sempre era stato il principe a rapirmi, a portarmi con sé; e adesso che vivevo la favola, non volevo assolutamente sciuparla. Vittorio Emanuele fu molto discreto, mi abbracciò quando mi avvicinai per versargli ancora del cognac nel bicchiere, e mi baciò con delicatezza. Non era diverso dai tanti uomini che avevo avuto, ma mi sembrava che lo fosse. Avevo tanto atteso quel momento, che credevo realmente di essere rapita dal mio cavaliere azzurro.
Non trovai la forza di dirgli chi ero, non me la sentivo di rischiare un’umiliazione proprio in un momento così importante. Mentre mi lasciavo spogliare, mentre lui mi sussurrava “Come sono belle le ragazze italiane, come sono calde, come sono materne” decisi che avrei cercato di prenderlo con l’inganno, nella stessa maniera usata tante volte con i miei soldatini e con i fornai, tanti anni prima, alle Cascine.
Mi raccolsi nell’angolo più buio del mio letto, alzai le gambe come per riceverlo con maggiore affettuosità, e lo indirizzai dove volevo io con le mie stesse mani. Poi mantenni sempre due dita sul mio ventre, come a voler sentire più intensamente il suo membro; e invece nascondevo il mio.
Vittorio Emanuele non si accorse di niente. Ed io mi rivestii in fretta perché, passato il momento della più intensa partecipazione, non dovesse accorgersi di qualcosa. Rimase a lungo a parlare con me. Più che una conversazione fu un monologo. Mi raccontava delle sue giornate svizzere, cercava forse di farmi capire, anche se non lo disse mai esplicitamente, come un principe sia praticamente costretto a fare un certo tipo di vita, anche se non la condivide e si sente nato per ben altre imprese. Disse più volte: “E’ questa inattività, questo essere simbolo inutile che mi sconvolge. Qualunque cosa faccia, anche se diventassi dal niente un industriale potentissimo, mi sentirei sempre inattivo rispetto ai compiti che mi sarebbero spettati”.
Fu l’unica frase che rivelò, in qualche modo, la sua amarezza. Per il resto si limitò, sempre col bicchiere in mano, a parlare dell’Italia e della Svizzera, a fare banali confronti climatici. Uscì dalla mia camera a tarda notte. Non provò neppure a possedermi di nuovo: era rimasto soddisfatto la prima volta. Doveva avermi desiderato molto, perché aveva raggiunto un orgasmo immediato. Mi avrebbe lasciata insoddisfatta se non fossi stata ripagata dal nome dell’uomo che aveva fatto l’amore con me’.

Che episodio boccaccesco: il prostituto-travestito che nasconde il suo membro per prendere quello reale del Principe-Speedy-Gonzales!
Veloce e inconsapevole.
Ma fino a che punto?
Veloce?
No, inconsapevole.
Boh! Non saprei. Ho citato questo gustoso aneddoto non per metterlo direttamente in relazione con l’arresto di poche ore fa, ma per fornire qualche elemento in più alla comprensione del personaggio. E lascio ogni responsabilità di quanto rivelato alla simpatica e spregiudicata ‘Romanina’, che tra l’altro ho avuto modo di conoscere anni fa a Firenze.
Anche tu inconsapevole?
No no, consapevolissimo. Al punto da evitare accuratamente ogni sia pur minimo contatto fisico. Con tutto il rispetto…
Anche per la Legge, che deve fare il suo corso, come si dice, presupponendo che nessuno sia colpevole prima di una sentenza definitiva di condanna.
Ottimo!
E viva il Re!
Guarda che siamo in una Repubblica.
Allora viva il Presidente!
E se dicessimo viva la Fica?
Mi associo!


22 – QUELLA VOLTA CON VASCO.
19 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Bambole.
“Non ho mai mal di testa, perché non ho testa. Non ho mai mestruazioni, perché non ho ovaie. Non resto incinta, non ho cellulite, non invecchio e non mi rifiuto mai. E poi non ti tradisco.
Ma non chiedermi un dialogo. Per quello comprati una donna”.
————————————————

O “G”, stai parlando di ‘quel’ Vasco?
Proprio di quello, “G”.
No, sai, perché ci fu un altro Vasco che…
Ah, sì, quello che si masturbò in diretta durante una mia telefonata in cui facevo la parte di una donna.
Lui, sì!
No, quel Vasco lì poverino lasciamolo stare. Parliamo invece di Vasco Rossi.
Bene, bene… So che l’hai conosciuto.
Brevemente, ma forse in modo più profondo di quanto si possa pensare.
Cioè?
Cioè forse, e dico forse, ho persino influito sulla composizione di una sua canzone.
Esagerato!
Vabbè, giudica tu.
OK, spara!
Come sai nei primi Anni ’80 io ho inciso un 45 giri, e la mia casa discografica mi mandava in giro a promuoverlo. Un bel giorno mi trovai a Parma, in una enorme discoteca colma di gente e con parecchi personaggi del mondo musicale di allora che si esibivao a scopo promozionale. Tra loro c’era anche Vasco Rossi, ai suoi primi successi.
Ganzo!
Ganzissimo! Eravami tutti in playback: era l’era del finto. E a me, guarda un po’, toccava ‘cantare’ subito prima del grande Vasco.
Quindi ti sei trovato dietro le quinte insieme a lui.
Esatto. Vidi quest’uomo appoggiato al muro, solo e con gli occhi incredibilmente chiari.
Come un’alba…
Non fare troppo il romantico. Mica me ne innamorai! Però faceva quasi tenerezza. Era lì per presentare ‘Siamo solo Noi’, ed era solo lui. Fu lui a parlare: “Cosa canti?”, mi chiese. Io conoscevo le sue canzoni, le apprezzavo già, e mi sentii contento che mi avesse come si suol dire ‘cacato’. Risposi: “Io canto ‘Tommi’, una mia canzone”. “E come fa?”. Curioso, lui. Allora gliel’accennai, nel punto cantilenante in cui il nome del titolo si ripete insistentemente. Lui ascoltava apparentemente interessato, con lo sguardo un po’ fisso.
Ti sembrava quel drogato o scalmanato ubriacone che molti dicono?
Per niente. Calmissimo. Anche troppo. Forse addirittura timido. Io per cortesia gli chiesi cos’avrebbe cantato lui, anche se lo sapevo. Avevo letto il programma della serata. E lui accennò la frase, cantandola: “Siamo solo noi…”.
Cantò solo per te!
Sì, ma anche io solo per lui. Poi fui chiamato sul palco dal presentatore e dovetti andare. Lui, Vasco, mi accompagnò con una pacca sulla spalla e un: “Ti ascolto, eh…”.
E ti ascoltò?
Non poteva fare altro. Quando io terminai e toccò a lui ci incrociammo, e lui ebbe il tempo di dirmi al volo: “Carina, eh…”. Poi andò su e spaccò il culo a tutti.
In playback.
In playback. Ma di quel brevissimo incontro forse, e ripeto forse, qualcosa rimase. In me il ricordo di un uomo mite e sensibile, persino vulnerabile. In lui forse, e sottolineo forse, l’ispirazione per una nuova canzone.
Spiegati meglio.
Mi spiego. Qualche tempo dopo uscì un suo pezzo molto dolce, di quella dolcezza che solo Vasco sa dare alle canzoni quando vuole darla. Si intitolava ‘Toffi’, e la parola del titolo vi era, guarda caso, ripetuta più volte cantilenando.
Tu… vorresti dire che la tua ‘Tommi’ sarebbe stata copiata da Vasco Rossi?
No, assolutamente no! I motivi non sono uguali, quindi niente plagio, ma forse, ancora forse, ispirazione. Ci sono dei punti in comune che me lo fanno pensare. E poi sicuramente lui la mia l’aveva sentita, e pure apprezzata.
Dunque, vediamo… ‘Tommi’ e ‘Toffi’: titoli quasi uguali, effettivamente. Oltretutto entrambi i nomi nelle rispettive canzoni vengono pronunciati con l’accento sulla ‘i’. Ripetuti più volte cantilenando. E Vasco conosceva sicuramente ‘Tommi’. Non c’è perfetta identità di melodia, ma sussistono tutti i presupposti per, come dici tu, un’ispirazione bella e buona. Credibile, assolutamente credibile.
Intendiamoci, la cosa può essere stata del tutto inconscia. Succede, a chi scrive canzoni. Credi di far uscire dalla crisalide una farfalla nuova e invece ne acchiappi una che ha già volato. Ma io ne sono stracontento! Pensa: dare un’ispirazione a Vasco Rossi!
Straganzo! E poi, diciamocelo, Vasco non è nuovo a ‘ispirazioni’ un po’ sospette: hai presente ‘Bollicine’? In certi punti ricalca pari pari ‘Comfortably Numb’ dei Pink Floyd…
Ragione di più per ritenere giusta la mia ipotesi. E la ‘ganzitudine’ raggiunge il culmine quando ci si ritrova in così egregia compagnia!
Il “G” e i Pink Floyd insieme nel repertorio di Vasco Rossi. Non è male!
Per niente. Solo che io per scrivere una canzone non mi sono mai ispirato a nessuno.
E’ vero. Non potresti.
Ne andrebbe della mia onestà interiore. Ma Vasco è Vasco. A me piace parecchio.
Anche a me. Però… quel fatto del ‘provocautore’…
Alludi alla definizione che qualcuno recentemente gli ha dato (o che si è dato da sé, non ricordo bene: comunque gli è piaciuta molto) e che compariva già sulle copertine dei miei due libri usciti alcuni anni fa? Coincidenze, dai…
Ah!… Va bene… Se lo dici tu… Ma senti, a questo punto sarebbe il caso che ci spiattellassi, qui sotto, il testo di ‘Tommi’.
Giusto. Diamo a ‘Tommi’ quel che è di ‘Tommi’. E’ la storia controversa di un ragazzo che sta per passare all’altra ‘sponda’. Poi però ci ripensa. L’argomento fece incazzare non poco una rivistina gay chiamata ‘Babilonia’, che recensì istericamente il pezzo lanciando strali fallici su di me. Ma per fortuna io mi ero infilato le proverbiali ‘mutande di bandone’…

TOMMI.

Recitativo voce femminile:
TOMMI, TOMMI, OH, TOMMI…

TOMMI TOMMI TOMMI TOMMI TOMMI’,
TOMMI TOMMI’ TOMMI’ TOMMI’.
Due volte.

TOMMI SI GUARDA ALLO SPECCHIO,
VEDE SE STESSO DIVERSO,
I PANTALONI CHE HA
LI VESTE SOLO A META’.
GUARDA IL SUO VISO PERFETTO
E POI SI METTE IL ROSSETTO.
SI TINGE GLI OCCHI, RITOCCA LE CIGLIA.
TOMMI CHE FAI? CHE COSA TI PIGLIA?

TOMMI, QUELLA RAGAZZA A SCUOLA,
TOMMI, NON LA LASCIARE SOLA,
TOMMI, E’ INNAMORATA DI TE!

UO UO UO UO

TOMMI, E’ IL PRIMO APPUNTAMENTO,
TOMMI, SE VUOI SEI ANCORA IN TEMPO,
TOMMI, E’ UN UOMO COME TE,
SI’ COME, COME, COME

TOMMI TOMMI TOMMI TOMMI TOMMI’,
TOMMI TOMMI’ TOMMI’ TOMMI’.
Due volte.

TOMMI SI INFILA LA GONNA,
E’ GIA’ VESTITO DA DONNA,
TENTA UN SORRISO MA FA
SOLO UNA SMORFIA E POI VA.
SCENDE DI CORSA LE SCALE,
LE SCARPE FANNO UN PO’ MALE…
SCIVOLA A UN TRATTO, GLI SI E’ ROTTO UN TACCO,
SI APPOGGIA AL MURO, SI DA’ DEL VIGLIACCO.

TOMMI, DUE RIGHE NERE IN VISO,
TOMMI, UN DESIDERIO UCCISO,
TOMMI, SALI E TELEFONA A LEI.

UO UO UO UO

TOMMI, IL PRIMO APPUNTAMENTO,
TOMMI, SARA’ FORSE UN TORMENTO,
TOMMI, MA POI RINGRAZIERAI
QUEL TACCO ROTTO, TOMMI…

TOMMI TOMMI TOMMI TOMMI TOMMI’,
TOMMI TOMMI’ TOMMI’ TOMMI…
Ad libitum sfumando.

Lo sai che ti dico, “G”?
No, anzi, sì.
Tu sei sempre stato avanti sui tempi. Inventi neologismi prima degli altri. E poi ti occupasti prima di tutti di gay nelle tue canzoni.
Sì, anche ‘Paolo Pa” del Banco del Mutuo Soccorso arrivò dopo, e così, nella ‘mia’ tradizione dei nomi gay nel titolo, ‘Pierre’ dei Pooh.
Che a sua volta si ispirava a ‘Yesterday’ dei Beatles…
Oh, basta con le ispirazioni!
Hai ragione L’importante è creare.
E l’ispirazione trovarla dentro di noi.
Se è possibile. E se non è possibile, niente si crea.
E niente si distrugge.
Ora però non cambiamo argomento!


23 – ETA’, NOME E STATO CIVILE.
21 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Bambole.
“Ho visto tua moglie. Non è un granché. Io sono molto più bella.
Ma lei può parlarti. E uscire con te. E darti un figlio. E anche godere… Persino ridere.
A volte essere una splendida bambola non è così bello…”.
—————————————————

Eh, “G”, le cose del titolo sono proprio quelle che ti chiedono più spesso, vero?
Sì, perché quando uno si mette al microfono e parla a un’intera regione tutti i giorni per anni chiamandosi solo “G” e tacendo ostinatamente i propri dati personali ingenera una certa curiosità.
Se io non fossi te ti farei le stesse domande: “G”, come ti chiami? Quanti anni hai? Sei sposato?
Peccato che tu non possa farmele. Guarda, a te direi tutto.
Ma lo so già.
Quindi ti manca il mistero. Perché il mistero è una delle molle che fanno scattare l’interesse per una persona. Comunque penso che il tuo non sia scemato.
Per forza di cose! Ma dimmi, come si comportano i maschi e le femmine in relazione a queste stesse eterne domande?
Non esageriamo. Le Eterne Domande sono altre. Ma posso risponderti che sul nome sono tutti famelicamente allineati, mentre per l’età e lo stato civile prevalgono nettamente i soggetti di sesso femminile.
Sembra ovvio. Hanno delle mire su di te. Non vedendoti, per esempio, possono immaginare persino che tu sia bello… Ah ah ah!
Come ti permetti di sghignazzare? Guarda che io calco le scene dal lontano 1990, e migliaia di persone mi hanno visto dal vivo. Ho avuto piazze con tre, quattromila persone davanti, e anche di più. E poi ho fatto anche della televisione, come sai, e persino pubblicità.
E l’interesse? Non è calato?
Impertinente! Bada che stai parlando anche di te stesso! No, non è calato. Mi rendo conto di non essere un Adone, ma proprio per questo i maschi non mi vedono come un rivale…
E tu gli trombi le donne!
Stai zitto, ché leggono! Le femmine invece hanno una gran dote: guardano dentro.
Buon per te!
E per te, naccherino! Per esempio, i primi tempi in cui venivano i giornalisti a intervistarmi io vietavo loro di farmi fotografie. Uscì un articolo con un disegno nel quale al posto della testa avevo un punto interrogativo.
E nelle interviste in TV?
Mi facevo riprendere di schiena, come i delinquenti. Una volta dichiarai che alla fine dell’intervista avrei mostrato finalmente la faccia, ma poi, d’accordo con la regia, apparve il volto di un bel bambino di sei mesi, che poi ero sempre io.
In fondo sei stato di parola!
Un’altra volta entrai con una banana in mano puntata sull’intervistatore, uso rapina, e in testa avevo una calza che mi sfigurava i lineamenti.
Buffo! Ma poi?
Poi, quando la mia immagine cominciò a circolare dal vivo, e molti ormai potevano vedermi, decisi che almeno la faccia potevo mostrarla, sia su stampa che in TV.
E ci fu un calo di consensi…
No, caro: un aumento, semmai, per le ragioni che ti ho detto prima. E poi qualcuno non mi trova così repellente… Anzi!
E allora perché non pubblichi una tua foto su questo blog?
Perché voglio giocare con quelli che non mi hanno mai occhieggiato. Che c’è di male?
Niente. Ma torniamo ai dati anagrafici.
Sì, e qui il discorso si fa più serio: la mia scelta di non diffonderli è basata su un concetto semplice e assoluto. I dati anagrafici sono del tutto inutili per la valutazione di un essere umano, a volte persino fuorvianti. Io voglio essere preso, scelto, amato o odiato per quello che sono, non per come mi chiamo, per quanti anni ho o per la mia posizione familiare. Quando mi si presentò l’occasione, direi anzi la necessità, di passare dalla muta Direzione Artistica al vociferante microfono, pensai a lungo a come presentarmi. Volevo un ‘nome d’arte’ semplice e riconoscibile. Ne pensai molti, ma non mi soddisfacevano. Alla fine la rivelazione: dovevo annullarmi anagraficamente per mettere in massimo risalto la mia personalità. Niente nomi con qualche significato o riferimento, a cui avrei dovuto legarmi negli anni a venire, ma una sola lettera. E quale se non l’iniziale tanto del mio nome che del mio cognome? Essendo poi la settima lettera dell’alfabeto, numero fatidico, vidi in essa un destino irrinunciabile: per tutti da quel momento fui “G”.
E ti andò bene.
Sì, il piccolo nome-non-nome attecchì immediatamente. Gli ascoltatori impararono presto a chiamarmi così, ma cominciarono anche, da subito, a farmi le famose domande.
Come ti chiami? Quanti anni hai? Sei sposato?
E anche: come sei?
Questo poi l’hanno saputo, purtroppo.
Smettila, autolesionista! Il “G” non è né bello né brutto, né vecchio né giovane, né sposato né celibe, ed ha tutti i nomi del mondo. Chiaro?
Sì, come Allah, che ha 999 nomi. Abbassa la cresta, ché io lo so perché non dici il tuo nome!
Spiegati meglio.
Con le telefonate che fai sia alla radio che negli spettacoli, se ti beccano sei fritto. Ti fanno il culo! Ecco perché non rendi pubblico il tuo nome!
Zitto, ma che dici? Vuoi che lo sappiano tutti? Ricordati che se beccano me beccano anche te!
Ah, già! Ehm… scherzavo… Il “G” è un concetto…
Bravo.
Un’idea…
Bene.
Una voce libera da ogni legame…
Ottimo.
Un’esperienza unica…
Continua.
Il “G” è uno stronzo!
Cosa?
Un illuso!
Ma…
Un pezzo di… mumpf… ma perché… mumpf… mi tappi la bocca?… Il “G” è un… mumpf…
Ciao “G”!
Mumpf…



24 – TELEVISIONE SPAZZATURA.
23 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Bambole.
“Certe volte mi chiedo perché l’uomo abbia bisogno di bambole. Forse per tornare bambino, o anche perché non ha una donna vera.
E allora gioca con me, piccolo sporcaccione! Io sono la tua solitudine”.
—————————————————

Dove vai, “G”?
A buttare via la spazzatura.
Ma… butti via anche il televisore?
Sì, non vedi? Dai, non trattenermi, ché pesa. Devo arrivare al cassonetto.
No, no, fermati invece, e posalo per un momento.
Che c’è?
Tu parli di televisione spazzatura, ma mi risulta che anche tu ne abbia fatto parte.
Oh, per quello, tu pure!
Per forza! Ma su, raccontami un po’ come andò.
OK, ti rinfrescherò le idee. Successe nel 2004, per 17 sabati notte consecutivi, in diretta in tutto il Centro Italia.
Perché 17? Non avrebbero dovuto essere 25?
L’accordo era quello, ma poi il letame puzzava troppo.
Dai, racconta!
Fui contattato da una TV locale per condurre un show notturno a base di… come dire?… signorine discinte.
Ah, maialone nude!
Ma che dici? Si trattava di pornostar!
Appunto! Ma perché accettasti?
Avevo voglia di fare un’esperienza televisiva da conduttore, e poi mi erano venuti in mente certi argomenti da inserirci dentro.
Dentro al programma o alle signorine?
Non ti rispondo nemmeno.
Era una battuta…
Non solo nudo, non solo cazzate, non solo libidine: ecco quello che volevo realizzare. Il programma si svolgeva così: in studio io e una troion… una ragazza inizialmente vestita. La gente telefonava, io ponevo delle domande e se la risposta era esatta la tipa (o topa) si toglieva un indumento. Se la risposta era sbagliata se lo rimetteva. Lo scopo era svestirla tutta. Semplice, no? Era il telespettatore che spogliava la topa (o tipa). Infatti il programma si intitolava ‘Spogliala tu’. Un’ora e mezza in diretta e moltissime telefonate.
Ma… Perché c’era un ‘ma’, vero? C’è sempre un ‘ma’…
In questo caso più d’uno. Ma il locale che ci forniva le signorine ci mandava le più scarse, perché aveva bisogno delle migliori, il sabato. Ma l’agenzia che aveva promesso quintali di pubblicità non mosse un dito per trovare sponsor. Ma i responsabili dell’emittente, quando io plasmai il misero programma alla mia maniera tentando di nobilitarlo, diventarono impalpabili.
E cosa ci avevi inserito?
Dei momenti seri, veri. Parlavo della guerra che era appena scoppiata, lanciavo sfide a personaggi famosi portando elementi a loro sfavore (sfidai sia Benigni che gli UFO…), visualizzavo su una lavagna parole e simboli significativi… E ci mettevo un sacco di ironia. Gli sbavanti della notte sono come certi tifosi di calcio: prendono troppo sul serio quello che in fondo non è che uno svago. Io volevo rimettere le cose al loro posto. Questa era la contropartita che esigevo per accettare di spalare la merda.
Avevi scritto anche la sigla, vero?
Sì, e la cantavo io. Ed era l’unica cosa che piaceva ai signori che mi avevano ingaggiato. Per il resto… sai, volevano solo la spazzatura, loro. Figurati che una volta portai persino un crocifisso in trasmissione.
E perché?
Risaliva alla Seconda Guerra Mondiale e serviva a proteggere i fedeli dai bombardamenti. Un pezzo davvero interessante e raro. Mi piaceva far vedere certe cose in un ambiente così stridente. Ma a quelli là stridevano i denti… Poi facevo alle ragazze domande imbarazzanti, tipo perché si erano messe a fare quel mestiere, quanto guadagnavano, se godevano veramente, se si sentivano puttane ecc. Mi avevano detto che quelle erano solo dei pezzi di carne, che non dovevano parlare. Ma a me sembravano esseri umani pure loro, e volevo trattarle non come sola ciccia.
Poi che facevi?
Per esempio coinvolgevo i due cameramen facendoli venire davanti alle telecamere, perché avevamo formato una sorta di trio musicale, chiamato ‘I Briachi Lucidi’. Io con la chitarra e loro che facevano il coro, e si cantavano canzoni mie ironiche e scollacciate. Tra le altre una che avevo scritto per l’occasione, intitolata ‘Fiche contro la Guerra’.
Insomma, andavi contro ogni regola e canone.
Ci credo bene! C’era un ascolto bestiale. Ero riuscito ad accaparrarmi anche un pubblico femminile, lo sentivo dalle telefonate.
Ma a ‘loro’ non piaceva.
E io facevo ugualmente quello che mi pareva. Tanto più che arrivando rari sponsor a causa dell’inettitudine di quella certa agenzia pubblicitaria, avevano poco da pretendere: i soldi scarseggiavano per tutti, me compreso. Che almeno mi prendessi le mie libertà. I signori dell’emittente praticamente sparirono e io continuai a fare i miei comodi e a sperimentare. Anche nella spazzatura si può fare. Ho ancora tutte le registrazioni, e un giorno le riguarderò, e magari mi troverò pure innovativo.
Come sempre… Ma raccontami delle maial… ehm… delle ragazze. Hai avuto con loro delle travolgenti storie di sesso?
Ma quale sesso e sesso… Poverine, mi facevano solo pena. Delle poverette costrette a fare degli squallidi show in pubblico e nei privé infilandosi oggetti nella vagina e facendosi brancicare e leccare da quello e da quell’altro. Oh, ogni volta me lo offrivano, il sesso. Mi chiamavano nel camerino dove si cambiavano per avere informazioni sullo svolgimento della trasmissione, e poi, tutte nude davanti a me, candidamente mi chiedevano: “Devo farti qualcosa?”. Erano talmente condizionate dai porci che le facevano lavorare…
E tu?
Rispondevo cortesemente di no. Avrei potuto farmele tutte e non me ne feci nemmeno una. Né la trentacinquenne esperta dal corpo agile e dalle insistenti avances che venne due volte in trasmissione, né la venezuelana niente male con i peli del pube rasati a cuore, né quella giovane ma dalle poppe mosce il cui pensiero più impellente era la prossima operazione di riempimento plastico, né la passatona formosa che si vantava di essere nonna…
Che campionario…
Sì, una vera corte dei miracoli. Non mi eccitavano affatto. Forse sarò passato da finocchio.
Di sicuro!
E poi tutte avevano degli strani lividi sul corpo, specialmente sulle gambe. E io in trasmissione mettevo in risalto tutti questi particolari orrorifici, tanto che il programma alla fine risultò meno immondezzaio e più educativo di quanto si potesse pensare. E io non mi pento di averlo condotto.
Ma perché lo chiudesti prima del dovuto?
Perché stava rubandomi il sabato, perché dopo 17 puntate avevo l’urto di vomito, perché ritenevo l’esperienza già conclusa, e perché – motivo ufficiale – in quella diciassettesima puntata scadeva l’ultimo spot dell’ultimo residuo sponsor. Presi la palla al balzo e mi vestii in smoking, riunii l’intero personale di studio (con cui avevo instaurato un ottimo rapporto) e con bicchieri e spumante brindammo tutti insieme davanti alle telecamere, rievocando l’intera esperienza e presentando i collaboratori uno per uno. Naturalmente non mancai di lanciare frecciate mortali a chi non si era comportato bene: gli svaniti dirigenti e i pubblicitari falliti. Tempo dopo seppi che un mio ascoltatore aveva sentito dire da colui che mi aveva ingaggiato: “Il “G”? Non me ne parlare! Ha fatto più danni lui della grandine!”. Beh, ne sono contento!
Anch’io!
E adesso fammi buttare via la spazzatura.
No, ti prego…

SBOINK!


*** SPECIALE COMPROMESSI ***
24 Giugno 2006



“SE ME LA DAI CARRIERA FARAI”.
“SI’, TE LA DO, E CARRIERA FARO’!”.

Non è cosa nuova l’odioso ricatto sessuale. Marilyn Monroe diceva dei suoi inizi: “Sono stata molto in ginocchio, ma non per pregare”. Sincera. Altre invece negano, o ritrattano.
Ma molte carriere inspiegabili si spiegano facilmente. L’uomo potente esige, la donna ambiziosa esegue. Le più sfortunate battono il marciapiede.

Quella che vediamo è la truce immagine di una giovanissima Brigitte Bardot disposta a tutto pur di arrivare. Ma la sua espressione – e non solo quella del viso – non è delle più felici. Avrebbe sorriso anche troppo in seguito, per sua fortuna, guardandosi bene dal mostrare la sua più nascosta intimità con tanta sfacciataggine se non ai propri numerosi amanti.
Ma quella ragazzina triste e scosciata mette angoscia.


25 – LE CIOCCE.
26 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Una storiella molto ben illustrata. (1 – Ingres).

“Ehi, ragazzi! Mi è venuta un’idea…”.
———————————————-

Ciao “G”!
Ciao belloccio! Non ti ricordi qualcosa?
Boh!
Una cosa che mi chiedevi insistentemente nei primi articoli di questo blog.
Non vorrai dire che…
Sì, è arrivato il momento!
Allora parliamo di ciocce!
Yes!
Finalmente! Dimmi, dimmi…
Senti, non far finta di non conoscere il prodotto. L’hai abbondantemente provato.
Sì, ma…
Ma niente! Cosa vuoi che ti dica?
Disserta.
OK, disserterò. Dunque… Le ciocce sono anche chiamate poppe, zinne, mammelle, seni e in molti altri modi. Esse sono due, la cioccia destra e la cioccia sinistra. A volte quella sinistra è leggermente più grande di quella destra.
Come i testicoli…
Più o meno. Anzi, più: più grosse, più carnose e più in alto. Ma laddove esistano testicoli non sussistono ciocce. Esse sono prerogativa quasi esclusivamente femminile.
Quasi?
Sì, perché ci sono anche casi particolari, sempre più frequenti, in cui ciocce non naturali sorgono su petti scendendo a perpendicolo dai quali si incontrano inopinatamente dei testicoli. E non solo.
Ahi!
Eh, già. Ma il non del tutto naturale alligna anche nel genere femminile, che vuole sempre più possedere ciocce perfette e prominenti.
Per allattare meglio?
No. Per allettare meglio. Il maschio. Perché quel bischero del maschio è inevitabilmente attratto dalle ciocce, specialmente quelle dritte e carnose. Gli ricordano la mamma.
Per questo ama succhiare i capezzoli?
Per questo. Ma preferisce che il latte non esca.
E la donna?
Di solito ci gode, ma non sempre. Ci sono quelle che raggiungono l’orgasmo anche soltanto attraverso la suzione del capezzolo e altre che restano del tutto indifferenti all’azione ruminatoria del maschio, se non addirittura infastidite.
Ma guarda…
Eh, sì. E ci sono quelle con i capezzoli dolci e quelle con i capezzoli amari.
Dici?
Certo. E i capezzoli a volte guardano in su, davanti o in basso. Ci sono pure quelli strabici.
Cioè?
Uno su e uno giù, uno rivolto a destra e uno a sinistra… E la forma delle ciocce varia molto: a popone, a pera, a melanzana, persino a banana.
No! A banana no!
Sì! E poi sono vuote o piene, mosce o sode, calanti o crescenti.
E quando se ne accorge l’uomo?
A volte solo quando la donna si toglie il reggiciocce. Spesso tutto cambia.
Come sarebbe a dire?
Il reggiciocce regge, alza, strizza, rassoda, raccoglie, presenta l’articolo al meglio. Togliendolo appare la verità, che solo raramente eguaglia l’effetto-vetrina. E’ come comprare un oggetto che non assomiglia granché alla foto sulla scatola.
Però ormai sei lì…
E te lo pigli com’è. Magari è anche meglio. Spesso quei reggiciocce le fanno assomigliare a un culo. Tipo Simona Ventura.
Ma in mezzo non c’è il foro.
No. Per quello devi lavorare in un altro cantiere.
Ho capito. E che mi dici della vicinanza delle ciocce con le ascelle?
A volte è un tormento. Hai due splendide ciocce davanti e le ascelle puzzano!
Ohibò!
Oppure le ascelle profumano…
Ma le ciocce ciondolano!
Capito tutto. E non dimentichiamo l’effetto-palla delle ciocce siliconate.
Orrendo!
Sì, ma viste quelle gonfiatissime di Veline & Company quasi quasi in certi casi puoi sognare di maneggiare le loro…
E magari si tratta di quelle della cassiera di un supermercato.
Anna, cassa 13.
Anche tu?
Beh, che vuoi farci? Ma ce le ha sempre sudate…
Bleah!
E quelle pelose?
E quelle cenciose?
E quelle bollose?
E quelle appiccicose?
Insomma, lo sai? Mi è quasi passata la voglia delle ciocce.
Ma no!
Era meglio se non ti chiedevo nulla.
Ma dai…
No, dico sul serio.
E quella profumiera con quel petto a balconcino con cui dovevi uscire stasera?
Niente, non mi va più.
Come mi dispiace… Beh, sai che faccio? Ci esco io.
Grazie, sei un amico.
Prego, caro… Quanto sei bischero!
Come hai detto?
Che… che mi sacrifico.
Ah!
Allora vado, eh?
Vai, vai…
Vado sì! Ciao “G”!
Ciao “G”… ‘Azzo com’è sparito alla svelta! Mah… Stasera birrina e TV. E speriamo che non ci sia Simona Ventura! Accidenti alle ciocce!


26 – ALESSANDRO.
28 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Una storiella molto ben illustrata. (2 – Tiziano).

“Ecco che idea mi è venuta!”.
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“G”, abbiamo già parlato del tuo nome nascosto dietro questa lettera, e non voglio certo essere io a rivelare la tua vera identità a chi legge. Ma gli altri nomi che hai puoi renderli noti?
Certo! Anzi, mi fa piacere: secondo nome Antonio, terzo nome Giuseppe e quarto nome Alessandro.
Accipicchia! Non ti fai mancare niente!
Beh, quando me li hanno dati io non avevo voce in capitolo. Ma sono contento di averli.
Sono i nomi dei nonni, immagino…
Immagini? Tu sai! Ebbene sì, i primi due, almeno. Ma il terzo…
Già, il terzo, che poi è il quarto, perché ce l’hai?
E’ una storia vera e toccante. Vuoi sentirla?
Sì, sì!
Era un 18 Marzo di alcuni anni fa.
Sorvoliamo su quanti…
Sorvoliamo. Pieno centro di Firenze. Via degli Alfani. Una clinica che oggi non esiste più. Mia madre stava per darmi alla luce, che poi luce non era, essendo le 1,30 di notte, e accanto a lei un’altra madre stava per partorire il suo bambino.
E…
E io zampettai fuori incazzato e urlante come ogni neonato, mentre l’altro quando uscì non zampettava affatto, non piangeva, era livido e inanimato. Morto.
Cazzo!
Io non potevo ovviamente capire quanto succedeva, ma mi sono figurato per tutta la vita quella scena: una madre felice, col suo bambino sul petto, e un’altra disperata, a cui avevano strappato dalla pancia la vita stessa.
Terribile!
Un padre fiero del suo seme e un altro abbattuto come un soldato di prima linea buttato allo sbaraglio oltre la trincea. La gioia della mia nascita oscurata dalla tragedia di una morte inaspettata, cattiva, pronta a colpire uno dei due bambini di quella notte.
Non toccò a te.
E nemmeno a te. Ma toccò a lui, ad Alessandro.
Così si chiamava?
Così si sarebbe chiamato.
E quindi…
Quindi Alessandro divenni io. I miei genitori decisero di darmi anche questo nome per far vivere in qualche modo colui che non era mai nato. Il padre di quel piccolo sfortunato eroe di un’unica battaglia fu così grato di questo che volle farmi da padrino al Battesimo. Io non potevo capire, ma oggi vedo tutto con chiarezza, e sono dentro all’anima di quell’uomo. Immagino come mi guardasse, con quali contrastati sentimenti mi augurasse ogni bene. Quanto pianto inondasse i suoi occhi. Vedo le sue mani tremanti…
“G”, accidenti, mi hai commosso. Sto piangendo anch’io.
E se piangi tu…
Alessandro…
Sì?
Vedi, mi hai risposto.
Non ti ho risposto io, ma lui. Vive in me, ne sono sicuro, è una parte di me, forse addirittura la migliore.
Forse.
E io vivo anche per lui. Senza saperlo quella notte felice e tragica risucchiai la sua essenza vitale prima che obbedisse alle leggi inflessibili della sorte.
E’ una strana sensazione.
E’ una dolce sensazione.
Alessandro c’è!
Era accanto a me sui banchi di scuola, nel mio stesso letto con le donne che ho avuto, al mio fianco contro gli stronzi che ho dovuto affrontare, vicino al mio viso quando sono proteso verso il microfono. A volte sento che è lui che parla per me. Ne avverto il respiro.
E’ qui…
E’ me.
Ciao, Alessandro.
Ciao, questo è per te!



27 – QUINDICI VERGINI PER IL "G".
30 Giugno 2006


L’IMMAGINE.
Una storiella molto ben illustrata. (3 – Giorgione).

“Mmmmmmhhhh… Che bello!…”.
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Ehi, “G”, ma è vero che…
Anche tu?
Anch’io cosa?
Sai, c’è un sacco di gente che inizia così un discorso con me: “Ma è vero che…”, e giù ipotesi e leggende metropolitane. Dai, sentiamo qual è il tuo ‘ma è vero che’.
E’ vero che ti sei fatto 15 vergini in una volta?
Oh, sì, come no… Così dovrei risponderti, stupidotto.
E invece?
E invece… Andò così: un pomeriggio, uscendo dalla radio, trovai ad aspettarmi un gruppo di ragazzine sui 13 anni.
Beh, non è una cosa rara: chi vuol conoscerti, chi vuole i tuoi libri, chi chiede un autografo, chi una foto insieme…
Sì, ma quelle volevano ben altro.
Racconta, racconta…
Erano 15, tutte compagne di scuola. Alcune, timide, facevano gruppetto, altre mi si avvicinavano temerarie. Ma solo una fra tutte, la più coraggiosa del branco, si fece decisamente avanti. Era grassoccia e simpatica, molto comunicativa. E infatti mi comunicò…
Che…
Non sbavare, maniaco! Ecco come si svolse il dialogo:

“Ti devo chiedere una cosa”, mi fa.
“Sì, dimmi”, rispondo io magnanimamente, aspettandomi chissà quale sciocca domanducola delle solite.
“Sai, noi siamo in 15…”.
“E allora?”.
“Siamo tutte vergini”.
“Ah…”. E qui comincio a insospettirmi.
“Noi… vorremmo essere tutte sverginate da te!”. Ecco uscito il rospo.
“Da me?”. Barcollo io colpito in una zona del tutto indifesa.
“Sì”, insiste la sfrontata. “L’abbiamo deciso tutte insieme”.
“E… perché?”. Cerco di prendere tempo mentre dentro mi si accavallano tabù, desideri inconfessabili e timori prestazionali.
“Perché ti ascoltiamo e ci ispiri fiducia. A sentirti sei molto esperto sessualmente. Vorremmo che tu fossi il primo per tutte noi”. Accidenti ai miei spavaldi discorsi radiofonici sul sesso! Candida e perversa la piccola. Le altre, le guardo, aspettano con ansia visibile la mia risposta, sapendo già la domanda. Alcune sono niente male, già in formato-donna, altre ancora proprio bambine. Io, da un pezzo ormai in formato-uomo, accarezzo solo per un attimo l’incredibile avventura, poi vengo assalito dal panico, senza però darlo a vedere: “Una alla volta, immagino”. Ormai sto recitando una parte.
“Sì, certo”, risponde la portavoce, incoraggiata dalla risposta. “Facciamo una lista, e decidi tu dove e quando”.
“E il come?”.
“Anche”, arrossendo.
A questo punto, pur sicuro che un’occasione così non mi ricapiterà mai più nella vita, ritengo di dover mettere fine a quella novella boccaccesca: “Vedi, forse tu e le tue amiche non vi rendete conto di quello che state chiedendomi. Ciò che volete da me dovete cercarlo ognuna da un ragazzo diverso, quando sarà il momento giusto, con amore”. Parole di una banalità abissale. “Che fretta avete? Certo, con me”, e qui posso allargarmi, ormai, “sarebbe splendido, e anche democratico: deflorazione uguale per tutte. Ma non posso farlo. Sarebbe come rubarvi qualcosa. Dillo alle altre”.
Delusa e mesta, la figlioluccia va confabulando a riferire. Sono già quasi pentito vedendo quei musi lunghi, ma mi rendo conto di aver eroicamente difeso la mia e le loro virtù. Mi sento tanto S. Antonio sottoposto alle tentazioni della carne. Mentre le 15 se ne vanno le accompagno perfino con una frase delle più bieche: “Vedrete che poi mi ringrazierete!”.

E ti ringraziarono?
Non lo so, ma una di loro a quanto pare ne aveva tutte le intenzioni.
Chi? Come? Dove? Quando?
E ‘perché’ non ce lo metti? Rispondo alle tue curiosità: era la più carina e più ‘donnina’ di tutte. Successe un anno dopo. Venne da me tutta sola e quasi quindicenne, confessandomi che aveva saputo aspettare.
E tu?
Non la feci aspettare oltre!

Alloraaa!!!

 
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