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LUGLIO 2006 - Museo del G

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LUGLIO 2006

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28 – CAZZOFICAEROCCHENROLL.

3 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Una storiella molto ben illustrata. (4 – Cranach il Vecchio).

“Aaahhh… Ora sto meglio!”.
————————————————

Ma non si scrive così, “G”!
Cosa?
Rock and roll.
E il resto?
Quello va bene, magari staccato.
Perché mai vuoi staccare il pene dalla vagina?
Già, perché? Hai ragione. Ma che significa tutto questo?
E’ il titolo di una tra le mie sigle più amate dagli ascoltatori.
Roba pesante, eh?
Tutt’altro. Vedi, nelle mie sigle io inserisco sempre qualche parola ‘forte’ o qualche elemento di distrazione un po’ folle. Serve a concentrarsi meglio sul testo vero e proprio, quello serio.
E funziona?
Abbestia!
A questo punto fammelo leggere, questo testo così serio.
Va bene. La canzone è autobiograficissima e parte dalla mia (tua) infanzia per arrivare ad oggi, constatando che lo spirito è sempre lo stesso, e che in fondo i tre elementi che si mischiano nel titolo hanno sempre una grande importanza per quel ragazzino con qualche ruga in più sul viso. Leggi:

CAZZOFICAEROCCHENROLL.

C’ERA UNA VOLTA UN RAGAZZINO
CHE INVECE DELLE CARAMELLE
MANGIAVA SOLO PANE E STELLE
E SOPRA I LIBRI STAVA CHINO.
MA NON I LIBRI DELLA SCUOLA,
SUI QUALI SI SENTIVA SCEMO,
PIUTTOSTO QUELLI DOVE VOLA
PINOCCHIO O IL CAPITANO NEMO.

E LUI CANTAVA CANTAVA,
CANTAVA SEMPRE COSI’.
E LUI CANTAVA CANTAVA,
CANTAVA PROPRIO COSI’:

CAZZOFICAEROCCHENROLL, CAZZOFICAEROCCHENROLL,
UACCIU-UADI UADI UADI.
Due volte.

LE PRIME COTTE, I PRIMI AMORI,
LE PRIME GRANDI DELUSIONI,
SENTIRSI DENTRO E STARE FUORI…
CHE GIRAMENTO DI COGLIONI!
LA VOGLIA DI ESSER SEMPRE IL PRIMO,
DI TUTTI GLI ALTRI IL PIU’ SPECIALE,
MA POI DEPOSITARE IL LIMO
INSIEME AI SOGNI SUL GUANCIALE.

E LUI CANTAVA CANTAVA,
CANTAVA SEMPRE COSI’.
E LUI CANTAVA CANTAVA,
CANTAVA PROPRIO COSI’:

CAZZOFICAEROCCHENROLL, CAZZOFICAEROCCHENROLL,
UACCIU-UADI UADI UADI.
Due volte.

IN QUANTI MURI SBATTE’ LA TESTA,
E DI OGNI BOTTA QUALCOSA RESTA…
MA IL CAPO LUI CE L’AVEVA DURO
E SI ROMPEVA SOLTANTO IL MURO.

CAZZOFICAEROCCHENROLL, CAZZOFICAEROCCHENROLL,
UACCIU-UADI UADI UADI.
Due volte.

E’ ANCORA QUI QUEL RAGAZZINO
CON QUALCHE RUGA IN PIU’ SUL VISO,
SI E’ COSTRUITO IL SUO DESTINO
E NON HA PERSO IL SUO SORRISO.

E LUI CANTAVA CANTAVA,
CANTAVA SEMPRE COSI’.
E LUI CANTAVA CANTAVA,
E CANTA ANCORA COSI’…

ONE, TWO THREE, FOUR…

CAZZOFICAEROCCHENROLL, CAZZOFICARECCHENROLL,
UACCIU-UADI UADI UADI…
Ad libitum sfumando.

———————————————-

Bel testo, sentito.
Vero.
Mi ha colpito la frase del ‘pane e stelle’.
Ha colpito anche qualcun altro: infatti è stata pari pari ricopiata e inserita nel testo di una canzone di un cantante che non nomino. Ma non valeva una cicca.
Non vale niente chi copia.
Giusto.
In quanto al rock and roll…
E’ un’espressione che all’origine significava ‘trombare’, poi un certo Alan Freed la usò per definire una certa musica.
Con un certo successo.
Direi. E io credo che ‘cazzoficaerocchenroll’, anche scritto così, all’italiana, sia un ottimo potafortuna per tutti.
Al posto di ‘merda’?
Sì. Puzza meno ed è più divertente.
Allora, “G”, che dirti?
Lo so già.
CAZZOFICAEROCCHENROLL!
Lo sapevo.


29 – CHI ABBANDONA GLI ANIMALI?

5 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Una storiella molto ben illustrata. (5 – Courbet).

“Adesso gioco un po’ con l’uccello…”.
—————————————–

Ciao “G”!
Ciao “G”!
E’ ormai Estate…
Già.
Fa caldo…
Eh, sì.
Si suda…
Dai, vieni al punto!
Lo sai: ogni anno di questi tempi per le strade si incontrano poveri cani traditi dai padroni.
E non solo. Qualsiasi animale può essere un ostacolo alle meritate, sospirate vacanze del buon caro essere cosiddetto umano.
E così lo si abbandona, per non dover pagare l’antipatica retta di un pensionato, per non sapere a chi lasciarlo, per non volere ritrovarlo al ritorno.
Per non volergli bene.
E allora perché lo si accoglie in casa? Perché lo si illude di avere una famiglia?
Ma figurati se il buon vacanziere si preoccupa di questo: sono animali, no? Solo bestie. Se ci va quando si torna se ne prende un’altra. Bestia più bestia meno…
Bestia più: ma mi riferisco a chi ragiona così.
Io ho appunto scritto una delle mie ‘poesie progresso’ proprio su questo argomento.
Sì, ricordo, la registrasti con un adeguato sottofondo musicale e la passasti più volte per radio, l’Estate scorsa.
E adesso la regalo a tutti quelli che volessero farne un uso simile. Ma attenzione, è una minaccia. Che non becchi mai sul fatto qualcuno che abbandona un cane per strada: troverebbe un cazzotto vagante abbandonato sul suo sporco muso!
Ben detto! E adesso la tua/mia poesia:

BELLO AVERE UN ANIMALE
CHE TI SCALDI NELL’INVERNO,
E D’ESTATE POCO MALE
SE LO MANDERAI ALL’INFERNO.

E’ UNA BESTIA, CHE TI FREGA?
DEVI PURE ANDARE AL MARE…
UN OSTACOLO, UNA BEGA:
L’ABBANDONI, CHE PUOI FARE?

SENTI, PEZZO DI ESCREMENTO,
FERMO E ASCOLTAMI UN MOMENTO.

TI ABBANDONO IN UNA STANZA
PIENA DI CANI AFFAMATI
SIGILLATA AI QUATTRO LATI:

ECCO QUI LA TUA VACANZA!!!

————————————–

Ben detto!
Spero che qualcuno ascolti, che qualcuno legga, e non solo con le orecchie e con gli occhi. Col cuore.
Ma quelli ce l’hanno un cuore?
No, non credo: per loro non è che una pompa. Ma almeno capiscano, brutte merde, che non hanno bisogno di animali da abbandonare.
Hanno già le loro famiglie…
Bravo! Capito tutto!


30 – SE FOSSI NATO DONNA.

7 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Una storiella molto ben illustrata. (6 – Renoir).

“… e poi mi faccio una bella dormita. ‘Notte!”.
————————————————-

“G”, hai mai pensato come sarebbe stata la tua (e la mia) vita se fossi nato femmina?
Certo che ci ho pensato. Sai, se fossi nato con la passerina i miei genitori mi avrebbero chiamata Cristina. Me l’ha rivelato mia madre.
E allora… addio “G”!
Ma non solo: addio barba da radere ogni giorno, addio peli sulle gambe (forse), addio buffe pallette e simpatico pisellino, punta avanzata di incessanti esplorazioni speleologiche in ogni anfratto della crosta femminile. E addio a voi, vivaci amici spermatozoi, dono prezioso spesso sottovalutato o temuto, succo supremo di vita: vi ho uccisi a fantastiliardi, ma il vostro bellicoso esercito suona continuamente la carica!
E poi non potresti più pisciare in piedi, inveire contro le donne al volante o trasalire di fronte a un culo appetitoso di femmina.
Insomma, perderei molte prerogative, acquistandone in cambio altre.
Cioè?
Verginità, mestruazioni, lavori casalinghi, cellulite, orgasmi incerti, gravidanza, parto, cura dei bambini che vanno smerdati, nutriti, lavati, vestiti, sgridati, subiti…
Poi la menopausa, le rughe, il disfacimento…
Già, perché io, “G”, posso anche permettermi di non essere bello, avere le gambe storte, non dovermi truccare, ingrassare, perdere i capelli… Cristina no, lei se ne farebbe una croce. Avrebbe forse seni e glutei cadenti, pateticamente sostenuti da calze rizzaculo e reggipoppe strizzabocce, vedrebbe sfiorire la propria gioventù di fronte a specchi spietati e diminuire sensibilmente l’attenzione degli uomini nei suoi confronti.
Tu invece puoi permetterti, invecchiando, di diventare persino più interessante, e magari approfittare di deliziose ragazzuole alla ricerca della smarrita figura paterna…
Del resto anch’io, come uomo, ho i miei problemini. Se la natura mi ha favorito, l’Umanità mi ha condannato: a lavorare, a essere forte per forza (sennò che uomo sono?), e soprattutto a sopportare la donna (il che non è cosa da poco). Infatti noi maschietti ci ammaliamo di cuore assai più frequentemente delle femminucce, e statisticamente tiriamo il calzino molto prima che loro tirino il collant.
E allora: “G” o Cristina?
Io lascerei tutto così com’è, senza chiedermi che donna sarei se lo fossi. Rischierei di rispondermi, vista la smodata propensione che ho per il genere femminile, che sarei certamente una lesbica. Ma mi rendo conto di ragionare da uomo.
Beh, forse in un’altra vita…
O anche solo per un’ora: sai, non mi dispiacerebbe, ad esempio, provare un pluriorgasmo. Questa peculiarità tipicamente muliebre permette alle scrofette di godere stereo, hi-fi, sensurround e con l’eco. Noi porcellini invece andiamo in mono, come i vecchi dischi.
In compenso ci basta alzare l’antenna per assicurarci una perfetta e sicura ricezione del piacere.
Eh, sì, altrettanta certezza la donna non ce l’ha, forse perché priva del necessario accessorio di cui possiede soltanto l’umida custodia.
Molto utile, peraltro…
Oh, scusa, il mio accessorio sta ricevendo dei segnali…
Ah, sì?
Sì. Devo occuparmene subito prima che si richiuda.
Che cosa?
La custodia.
Vai, vai, cosa aspetti?
Vieni anche tu?
Inevitabilmente!

Via!!!



*** SPECIALE PISTOLINO DI TUTANKHAMON ***

10 Luglio 2006



ANCHE I FARAONI NE AVEVANO UNO.

Ne conosciamo la favolosa maschera d’oro, il ricco corredo tombale, la giovane età, la vita, la morte, la moglie e la mitica ‘maledizione’, ma… abbiamo mai dato uno sguardo al suo pistolino?
Guardoni come siamo, persino osservando una mummia lo sguardo ci cade lì, su quel particolare rinsecchito e inutilmente sporgente.

Eccolo, il pene troppo poco usato del faraoncino Tutankhamon!

Ce lo mantiene ‘in forma’ la tradizione egizia, che prevedeva l’accurata mummificazione degli organi sessuali sia maschili che femminili: i primi non venivano di solito asportati. I secondi, prima spalmati di resine, erano poi riempiti con pezzi di stoffa.
Raramente l’organetto maschile veniva escisso. Questo successe a Ramses II, perciò chiamato ‘Il Gran Castrato’ (ma lui se ne fregò altamente).

E adesso godetevi (si fa per dire) il faraonico pistolino, come appare nel particolare ingrandito dalla più antica fotografia della mummia di Tutankhamon.
E vergognatevi un po’, necrofili guardoncelli che non siete altro!


31 – SU PER IL CULO!

12 Luglio 2006




L’IMMAGINE.
Sua Maestà.
ESEMPLARE REGALE.
Maestà, io, misero vermiciattolo moscio al Vostro sontuoso e sodo confronto, chiedo umilmente di essere ammesso nelle Vostre segrete stanze, dove al Vostro regale cospetto prima mi inchinerò, in ginocchio bacerò il Vostro prezioso anello e poi mi solleverò, ed entrerò con molto tatto nell’argomento, illustrandoVi fino in fondo la dura realtà del mio stato. Una volta entrato, ne uscirò solo dopo essermi commosso al punto di piangere abbondanti lacrime di gioia per la Vostra magnanima apertura nei miei modesti ma a Voi saldamente fedeli confronti. Poi mi ritirerò chinando il capo e procedendo all’indietro, come si deve di fronte a una sì maestosa magnificenza.
W il Re! … E anche la Regina!
—————————————————

Oh, là là! “G”, che ti passa per la testa?
Per il culo, sembrerebbe!
Non volevo dirtelo…
Ma è solo il titolo di una delle mie sigle più riuscite.
Dai che lo sapevo…
Lo credo bene. L’hai cantata per un’intera stagione insieme a me…
Dici bene: le nostre voci si sovrappongono sempre.
Proprio così. E immagino che adesso fingerai di chiedermi come nasce questa idea.
Dal basso?
Direi dal versante adriatico. Un giorno col mio ‘Sondazzo’ telefono in una località romagnola, e da una dolce interlocutrice sento usare nei miei confronti, appunto, l’aulica espressione.
Quale?
‘Su per il culo!’. Ma non ricordo cosa mai volesse infilarmici.
Una vera signora.
Comunque sia, fu una folgorazione. Presi la frase e ci costruii sopra una travolgente canzone/sigla che fece andare in sollucchero gli ascoltatori.
Forte!
Sì, direi. Con una singolare particolarità: la prima parte del testo si rivolge all’Uomo, la seconda alla Donna e la terza a tutti e due.
Ganzifero! E ora fammelo leggere, questo testo, dai!
Eccolo qui:

SU PER IL CULO!

SE TI GIRANO LE PALLE
E UN TU CC’HA’ PIU’ MANI PE’ FFERMALLE
COGLI AI’ VVOLO L’OCCASIONE
E CANTA INSIEME A ME QUESTA CANZONE.
(SENTILAEEE!!!)

(UOMO)
TI SENTI TRISTE, TI SENTI SOLO,
MAGARI SEI ANCHE UN PO’ BUCAIOLO,
TI VEDI BRUTTO, TI SOGNI BELLO
O FORSE TI MANCA UN PO’ D’UCCELLO.
SE IN TESTA TI SPUNTANO LE CORNA
E A TE LA COSA PROPRIO UN TI TORNA,
SU UN TIR, IN FABBRICA, ALL’OSPEDALE
SEI IN GALERA E CI STAI MALE…

SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU…
PER IL CULO!

SE C’HAI LA DONNA UN POCHIN PUTTANA,
SE SUL MOMENTO C’HAI QUALCHE GRANA,
SE PER TE NON VIENE MAI LA FESTA
PERCHE’ CHINARE DEVI LA TESTA
A QUELLA MERDA DEL PRINCIPALE,
SE PERDI IL SENSO DI QUANTO VALE
UNA SINCERA, VERA AMICIZIA
E VA A FINIR TUTTO IN SPORCIZIA…

SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU…
PER IL CULO!

E SE NON VUOI PIU’ RESTAR COSI’
DAI UN CALCIO IN CULO AL MONDO E ASCOLTA IL “G”!

(DONNA)
SE TU SEI GRASSA, SE TU SEI SECCA,
SE IL TUO RAGAZZO NON TE LA LECCA,
SE HAI UN GRAN BISOGNO DI AVER QUALCUNO
E CON TE INVECE NON C’E’ NESSUNO…
DI NOTTE A LETTO SE TUO MARITO
NON TI CI INFILA NEMMENO UN DITO
O TI CI INFILA ANCHE TROPPE COSE
MA NON TI REGALA ROSE…

SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU…
PER IL CULO!

SE CON TE STESSA SEI SEMPRE IN LITE,
SE LOTTI CONTRO LA CELLULITE,
SE GLI ALTRI IN CASA, A SCUOLA, AL LAVORO
NON SI FARANNO MAI I CAZZI LORO…
SIA DEPILATA CHE UN PO’ PELOSA,
DONNA, SEI FIGLIA, SEI MADRE E SPOSA,
MA PER IL MASCHIO CREDIMI AMICA
TU SEI NATA E RESTI FICA!

SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU…
PER IL CULO!

E SE NON VUOI PIU’ RESTAR COSI’
DAI UN CALCIO IN CULO AL MONDO E ASCOLTA IL “G”!

(UOMO – DONNA)
LA VITA E’ BELLA, LA VITA E’ ROSA,
E’ UN’ESPERIENZA MERAVIGLIOSA,
MA TE LA COMPLICHI INUTILMENTE
SPESSO INCAZZANDOTI PER UN NIENTE.
LA VITA E’ BREVE, LA VITA E’ DURA,
VIVERE A VOLTE TI FA PAURA.
TI CHIEDI: ‘IN FONDO PERCHE’ VIVIAMO?’,
E NON DICI MAI ‘TI AMO’…

SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU…
PER IL CULO!

TRA MILLE E MILLE SPERMATOZOI
LA VITA HA SCELTO SOLTANTO NOI,
E SE QUALCUNO NON L’HA CAPITO
GLI INFILIAMO UN GROSSO DITO…

SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU SU…
PER IL CULO!
Ad libitum sfumando.

————————————————–

Hai colpito duro, “G”!
Sì, ma ho anche dato delle speranze.
E ottimismo.
Credo. Se qualcuno si sente giù, l’ascolta e… Su!
Per il culo?
No, per vivere!


32 – LE MOSCHE VERDI DELLA MERDA.

14 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Sua Maestà.
ESEMPLARE EMERGENTE.
Eccolo lì, imperscrutabile scrigno di inimmaginabili segreti, odoroso guardiano (ano… ano…) di profonde caverne che ripetono l’eco infinita di mille desideri nascosti. E’ là che il temerario esploratore cerca ancora l’isola che non c’è, il favoloso centro della Terra o addirittura le beatitudini del Paradiso, trovandovi spesso i tormenti dell’Inferno, o viceversa. E’ là che si ripongono sogni e speranze, voglie e pazzie, persino simulacri di peregrina fortuna.
Buon culo a tutti!
——————————————————

Ciao “G”!
Ciao. Hai mai fatto la cacca nel bosco?
E come no? Tutte le volte che ho potuto.
Bello vero? Natura su natura…
Concime per l’erba…
Acre afrore di scarti biologici… Ma per qualcuno trattasi di prelibato banchetto.
E chi è tal coprofago?
Sono tanti, anzi, tante.
Come? Donne?
No, maschi e femmine, ma le chiamiamo tutte mosche.
Ah, volevo ben dire! Mosche!
Sì, le mosche verdi della merda. Mai viste?
Sempre, dopo una defecazione boscosa.
E, per caso, le hai viste anche in altre occasioni?
Ecco, a questo volevo arrivare: dove si annidano le mosche verdi? Perché non le vediamo mai se non in presenza di una bella merda fresca?
Già, è un gran mistero.
Infatti. Tu vai nel bosco, ti chini, e ancora niente. Ponzi, e ancora niente. Eietti l’odoroso superfluo e… eccole, arrivano!
E quante sono!
Non una, né due, né tre. Si danno la voce, per così dire, o il ronzio. Si chiamano. Me le immagino: “Venite, c’è uno che ha cacato!”. “Subito. E anche voi, che aspettate? C’è da mangiare!”. “Aspetta, ché avvertiamo le altre…”. Perché le mosche verdi della merda sono un popolo generoso e compatto. “Venite, venite, ce n’è per tutte!”, anche se hai fatto solo uno stronzettino.
Ammirevoli.
Un esempio da seguire.
Oppure…
Oppure da evitare. Pensa agli avvoltoi con la faccia umana che ti spuntano all’improvviso addosso quando sentono odore di soldi…
Quelli delle pompe funebri, per esempio. Ti muore un familiare in ospedale e in men che non si dica ti ritrovi un menagramo vestito di nero che si avvicina e ti offre i servigi della sua agenzia.
Avvertito da qualche solerte infermiere, se non dottore, che ci prende su la percentuale…
Vere mosche verdi della merda!
E che dire degli amici che improvvisamente scopri di avere se vinci una bella cifra a qualche lotteria?
Spuntano fuori come mosche verdi della merda!
E i solerti vigili ‘urbani’ che ti saltano addosso non appena parcheggi criminalmente la macchina in divieto di sosta?
Mosche verdi della merda!
E le brave signorine che si offrono a chi ha soldi a palate, barca in acqua e Porsche fuori dall’uscio?
Splendide mosche verdi della merda, che poi magari vedi in TV…
La lezione delle mosche verdi della merda è molto istruttiva, solo che loro si accontentano della merda vera, e se non cachi non ti rompono il cazzo ronzandoti intorno.
Hanno una certa classe.
E un decoro da mantenere. Non per nulla sono più belle delle loro colleghe comuni.
Quindi che dire delle mosche verdi della merda?
Tutto il bene possibile: da un lato ci insegnano orgoglio e ritegno, dall’altro ti mettono in guardia contro quelli che mosche non sono, ma che ti trattano come una merda.
Ottima lezione.
Oserei dire basilare. Ah, guarda, là c’è un bosco…
E improvvisamente ho voglia di…
Anch’io.
Mosche verdi della merda, stiamo arrivando!
Ma con un culo solo.
Vuol dire che cacheremo per due!
Andiamo!

Zzzzzzzzzzzzzzzz…



33 – HO UCCISO.
17 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Sua Maestà.
ESEMPLARE SEDUTO.
A un sacco di usi Egli serve. Defecare, in primis. Scoreggiare, in secundis (o anche prima del primis). Sedere, come vediamo (infatti si chiama anche così). Mandarci le persone con un malinteso senso di offesa (chi non andrebbe volentieri ‘affanculo’, in realtà?). Alludere alla fortuna. Già: perché si dice ‘culo’ per intendere ‘fortuna’? Forse perché riuscire a possederne uno che non sia il proprio è un fatto non del tutto frequente e decisamente fortunato… Sì, l’uso più sfizioso di esso è proprio questo: se possiedi un culo… hai culo. Ovviamente. Che culo!
———————————————————

“G”, ti sei mai vergognato in vita tua?
Oh, sì…
Per tutte le telefonate che hai fatto, immagino. Chissà quante famiglie hai rovinato…
Davvero? Boh… forse… Ma non è per questo che mi sono vergognato. In fondo ho dato e continuo a dare a tanta gente motivi per riflettere, argomenti di dialogo, adrenalina pura che ti arriva via cavo… Incazzarsi fa bene, rende ondulata la vita, altrimenti squallidamente piatta.
Ma se anche il quotidiano ‘La Nazione’ ti ha dedicato un pezzo intitolandolo ‘Mister “G” si vergogni!’…
Oh, per carità! Hanno dovuto vergognarsi loro. Infatti dovettero pubblicare la mia non bonaria replica.
E allora di che cosa ti sei vergognato in vita tua?
Di aver ucciso.
Co… cosa?
Sì, hai capito bene. Ho ucciso.
No, tu adesso mi racconti!
Più che altro ti ricordo, perché c’eri anche tu, sai?
E allora…
Avrò avuto 13 o 14 anni. All’epoca ero un Boy-Scout, e nella mia squadriglia, essendo il più bravo a scrivere, ricoprivo il ruolo di Segretario.
Cioè?
Ero quello che teneva il diario dell’attività della squadriglia stessa. Gli altri erano tutti dei gran ceppiconi con la penna in mano.
Ah… Ma non eri anche il più bravo a correre?
Certo, e anche il più veloce in salita. Certe scarpinate… Ma conciliavo la velocità dei piedi con quella del cervello, e questo mi veniva universalmente riconosciuto.
Sì, ma che c’entra con il tuo… assassinio? Guarda, solo a dirlo mi vengono i brividi!
C’entra, c’entra… Dunque, eravamo impegnati in un grande campo estivo, nei boschi di Camaldoli. Luoghi ancora selvaggi: solo piante, animali e ruscelli freddissimi in cui lavarci al mattino. Tende spartane e sacconi da riempire di vegetali per farli assomigliare a materassi. Ma attenzione, mai metterci dentro le felci, ché poi puzzano tremendamente, più dei piedi e dei peti dei tuoi compagni di tenda.
Buono a sapersi.
Ci facevamo da mangiare da noi e si lavavano piatti e pentole con la sabbia del ruscello. Venivano meglio che col Sole Piatti. Ma spesso la pastasciutta era colla, e questo ci faceva sentire molto uniti…
Cos’è, una battuta?
Più o meno.
Ma veniamo al fatto. Anzi, al misfatto.
Come ben sai, in questi campi si facevano grandi giochi, il risultato finale dei quali avrebbe premiato la squadriglia migliore durante il suggestivo ultimo Fuoco di Bivacco, quello in cui incrociando le braccia davamo la mano ai vicini in un grande cerchio sotto le stelle, intonando il ‘Canto dell’Addio’, sulla musica del ‘Valzer delle Candele’. lo stesso della mezzanotte di Fine d’Anno.
Uhm… Da brividi.
Da lacrime. E qull’anno fu la mia squadriglia a vincere su una trentina di altre… proprio grazie all’omicidio da me perpetrato.
Assassino!
Sì, lo confesso, ho ucciso. Eravamo quasi al termine del campo, e cinque o sei squadriglie avevano ancora la possibilità di prevalere su tutte. Io avevo assicurato preziosi punti alla mia nelle gare di corsa boschiva e marcia in salita, vincendole entrambe, ma adesso sulle mie giovani spalle pesava la responsabilità dello sprint finale. L’ultimo gioco era a carattere letterario: si sarebbe dovuto presentare uno scritto a tema libero, e il migliore avrebbe meritato i punti decisivi.
Ovviamente l’incarico per la tua squadriglia fu dato a te.
Certo, e ci si aspettava molto da me: i miei compagni mi davano già vincitore. Non potevo deluderli, e… ho ucciso!
Senti, se non arrivi al nocciolo e confessi tutto chiamo la Polizia! Chiaro?
Chiaro. Ma se sto prendendo tempo è perché questa confessione mi costa. Ho cercato di dimenticare, ma non ce l’ho fatta. E’ un grosso peso che ho sulla coscienza.
Liberatene, su…
Come sai, di argomenti no ho a migliaia, ne ho sempre avuti, anche già allora. Ma volevo qualcosa di straordinario da narrare. Volevo vincere. Mi venne in mente di comparare un emento terrestre al cielo, alle stelle, al mistero dell’Universo. E lo trovai. In quei boschi la fauna era folta e gioiosa, come la flora. Passò una farfalla vicino a me, di quelle dal corpo grosso e le ali piccole, che chiamavamo ‘sfingi’, facili da acchiappare perché lente. Sulle ali scure aveva numerose macchie bianche rotonde. Vidi su quelle ali intere costellazioni. Avevo trovato l’aggancio. Ma la farfallina era inquieta, non si lasciava esaminare come avrei voluto. Cercai di farla star ferma, di farle allargare la ali, ma non potevo senza…
Senza…
Senza ucciderla. Non avevo molto tempo, il tema doveva essere consegnato di lì a poco. Presi uno stecco sottile e…
Ho capito.
Scrissi una storia bellissima, trovai le parole più belle per far capire che quel piccolo essere aveva catturato le stelle, che se le portava addosso, e quando si posava su di noi ci lasciava un po’ della loro polvere (‘Stardust’…). Colpevolmente vile, aggiungevo poi che dopo la mia riflessione la farfalla aveva ripreso il suo volo per comunicare agli abitanti del bosco il suo messaggio celeste. Ma non avrebbe potuto. Io l’avevo uccisa.
Capisco la tua vergogna. E’ anche la mia.
Non dissi a nessuno, mai, quello che veramente successe quel giorno nel bosco, ma oggi, dopo tanti anni, ho sentito il bisogno di confessarlo. Stravinsi il ‘gioco’, consegnai la vittoria alla mia squadriglia e la sconfitta a me stesso. Non me lo perdonerò mai.
… Che dirti, “G”? La tua sensibilità riscatta il gesto. Si può coltivare un rimorso per tanti anni solo per aver ucciso una farfalla? E se avessi ucciso una persona?
Conosco persone che meriterebbero la morte più atroce. Io ho ucciso l’Innocenza.
Hai ragione, in fondo. Continua a provare vergogna, allora. Ti rende solo più uomo. Tanti altri provassero vergogna dei loro atti…
Gli altri non sono me.
E neanche me. Grazie della lezione.
Non a me. Sai a chi. Vola ancora nel mio cuore.



34 – LA LEZIONE DEI VERMI.

19 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Sua Maestà.
ESEMPLARE DA LETTO.
La varietà è la sua fortuna. Se tutti i culi fossero belli, perfetti, rotondi, sodi, ritti e di dimensione giusta probabilmente l’entità culo perderebbe molto del suo fascino. Per fortuna ci sono anche quelli mosci, piatti, cadenti, ripiegati su se stessi, o strabordanti, striminziti, inesistenti, oppure rigati di smagliature o abbondantemente cellulitici. Primo: la perfezione non è mai sexy. Secondo: per apprezzare di più una bella cosa si ha bisogno di confrontatrla con una brutta. Terzo: la rarità fa il valore.
“Perché io valgo!”, disse il Culo.
————————————————–

“G”, ti ricordi la ‘trilogia del cielo’?
E come no? Sono tre articoli di questo blog che mi piacque molto scrivere, e che oltretutto ricevettero molto favore da parte dei lettori.
Ecco, appunto. Adesso si prospetta una trilogia degli animali. Prima le mosche verdi, poi la farfalla…
Dimentichi l’articolo sui cani abbandonati.
Sì, ma non è in sequenza.
Ah, quindi tu vorresti che mi occupassi subito di un argomento animalesco, senza interporne altri.
Esatto. Anche perché so che ne hai uno in mente.
Se non lo sai tu!
E allora?
Va bene. Parleremo di vermi. Ti va?
Moltissimo!
Se ti do di verme, tu che mi rispondi?
Come ti permetti?
Ecco, bisogna sfatare questo uso dispregiativo della parola ‘verme’.
Ma si dice di uno che striscia…
Certo, in quel senso è sempre stato inteso, il verme. Ma è molto di più e di meglio.
Dai, dai, sfata!
I vermi sono degli invertebrati, giusto?
Eh sì, non hanno ossa.
Quindi si potrebbe dire anche ‘smidollati’, no?
Beh, non avendo colonna vertebrale non hanno nemmeno midollo spinale.
Inoltre molti di loro vivono nella terra, e la mangiano pure.
Sono limivori…
Quindi rappresentano l’antitesi di quello che vorremmo fosse il Vero Uomo: pavidi, strisciati, disossati, si nascondono sordidamente per evitare di prendere iniziative palesi. Infidi.
Per questo definiamo ‘verme’ l’uomo che si comporta così.
Ma secondo te, cosa lasciano i vermi dopo la loro morte?
Nulla, assolutamente nulla.
Ne sei proprio sicuro?
Che devono lasciare? Non hanno neppure lo scheletro per poter diventare dei fossili.
Ed è qui che ti sbagli, come tanti altri del resto.
Sarebbe a dire?
Loro, i vermi, un segno del loro passaggio nel mondo lo lasciano eccome! In forma di tracce più che evidenti, che solo chi vede le cose in maniera superficiale può ignorare.
Ma davvero?
Ci sono bellissimi reperti fossili che mostrano artistiche ramificazioni che a prima vista appaiono come piante. In realtà si tratta delle piste di spostamento di queste tanto vituperate bestioline.
Piste?
Sì, gallerie sotterranee o segni di superficie. Un verme, nel suo piccolo, quando si sposta in un terreno sabbioso, lascia dei piccoli avvallamenti nel terreno, lunghi o brevi, dritti o tortuosi, che fossilizzandosi nel tempo ci raccontano itinerari, migrazioni, decisioni e ripensamenti del non banale animaletto. Le gallerie poi sono dei veri capolavori, formate da un ‘tronco’ centrale da cui si diramano tanti ‘rami’ in perfetta armonia naturale. Se ne trovano molto facilmente nei vari strati rocciosi di luoghi dove la fossilizzazione ha potuto avere luogo. Se guardi bene, anche su pietre riportate per costruzioni, argini, mura, delimitazioni di giardini…
Ma vedi tu! Chi l’avrebbe mai pensato…
Non fingere. Lo sapevi quanto me. Ma tutto questo ci porta a riflessioni, non ti sembra?
E a rivalutazioni.
Certo. Rivalutiamo il verme. Lui ha lasciato molte più impronte dell’Uomo, questo borioso padrone del mondo che in quanto a fossilizzazione è assai meno presente sulla Terra dei vermi stessi.
Già. Noi crediamo di essere chissà chi, e poi…
E poi le nostre tracce si cancellano. Quelle dei vermi no. E sono miliardi, dappertutto. E non hanno mai danneggiato il pianeta.
No, loro no.
Zitti zitti, bistrattati, maltrattati, sottovalutati, quegli esserini ci insegnano molto: immutabili, nel tempo, nello spazio, dovunque, strisciando possiedono il vero segreto della Vita.
E noi?
Noi sarebbe meglio cambiassimo qualcosa. Per esempio, visti i nostri comportamenti da ‘esseri intelligenti’ (guerre, avidità, inquinamento, cattiverie e soprusi di ogni tipo) dovremmo pronunciare la parola ‘uomo’ ogni volta che ci viene in mente di dare del verme a qualcuno. Sarebbe più appropriato.
E intanto loro, gli striscianti, gli invertebrati, i senza spina dorsale, continuano a impartirci lezioni immense lasciando segni eterni che ci sopravviveranno.
Hai detto bene. Sembra che abbia parlato io!
E chi sennò? Ciao “G”!
Ciao verme!
Grazie!



35 – POESIE MONOSILLABICHE.

21 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Sua Maestà.
ESEMPLARE DISTESO.
Egli è un grande richiamo sessuale. Le donne lo sanno, e lo mettono in mostra come meglio possono, consce che ogni giorno migliaia di sguardi maschili vi si appuntano sopra. Ogni donna viene stuprata da dietro migliaia di volte al giorno da occhi cupidi e torbi. Se le occhiate potessero penetrare dentro i culi in forma solida assisteremmo a continui coiti anali dovunque, per strada, negli uffici, alle fermate d’autobus, nei supermercati… E ne saremmo anche i protagonisti!
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Ciao “G”!
Ciao, caro “G”!
mi racconti uno dei tanti fatti e fatterelli che sono successi nella tua lunga carriera radiofonica?
Se vuoi ti faccio leggere la rassegna stampa che mi riguarda… E’ bella cicciosa, sai?
Ma io vorrei rievocare qualcosa di carino, leggero, che non faccia cronaca.
OK, rimandiamo risse e recensioni, interviste e contestazioni, ragazzine scappate da casa e suicidi mancati… Ti racconterò della ‘poesia monosillabica’.
Quale?
Questa:

IO SO CHE TU NON SEI PIU’ QUI,
MA DI TUO C’E’ CIO’ CHE MIO FU:
UN PO’ DI TE SU UN MIO/TUO SI’.
C’E’ PER UN PO’… POI NON C’E’ PIU’.

Carina… tutta fatta di monosillabi.
Sì. La lessi in radio chiedendo agli ascoltatori chi l’avesse scritta.
Già: è venuta la curiosità anche a me. Chi l’ha scritta?
Un poeta.
E cosa risposero gli ascoltatori?
I nomi più disparati, da Pascoli a Carducci, da Montale a Marinetti, passando per Leopardi, Ungaretti, Saba, Quasimodo, Palazzeschi ecc. ecc. Ma sono solo alcuni dei nomi fatti. Qualcuno scomodò persino Dante Alighieri.
Davvero? E chi indovinò?
Nessuno. Dopo giorni di tentativi, visto che la risposta esatta non arrivava, fui costretto a darla io.
Ed era?
Io.
Come? Tu?
Sì, io. L’avevo semplicemente scritta io.
No!
Dai che lo sapevi! Sei me!
Va bene, ho finto di non sapere per farti raccontare l’aneddoto. Ricordo che le reazioni furono disparate.
Sì, si andò dallo stupore all’incazzatura, per poi convergere sui complimenti. Ne ricevetti molti.
Eh, non è mica facile dare un senso a un discorso usando esclusivamente monosillabi. E oltretutto, leggendola, la quartina non risulta sforzata, ma ha un suo significato di sottile rimpianto per un amore perduto. In particolare l’ultimo verso addirittura commuove.
E poi come la leggevo io…
Wow! Li hai fregati tutti ben bene!
E come ci ho goduto! Quasi più di quando, non molti giorni dopo, ho ricevuto un riconoscimento inaspettato perché non richiesto né immaginato, a un Premio Internazionale di Poesia come poeta satirico. Accadde nello storico, enorme, prestigioso Salone dei Cinquecento, a Palazzo Vecchio, dove sulle immense pareti Leonardo e Michelangelo si erano confrontati nell’arte dell’affresco (o almeno avrebbero dovuto). Quel giorno, tutti compunti, mi consegnarono targa e pergamena davanti a un folto e attento pubblico. La poesia satirica non era contemplata tra le categorie, ma il mio era un premio speciale, creato per me. Sai, ero l’ospite d’onore della premiazione.
Ma è vero che ti avevano raccomandato di non parlare?
Sì, viste le mie abitudini – e attitudini – all’estrema libertà di parola, la solennità dell’ambiente e dell’occasione… si erano un po’ cacati addosso.
E tu stesti zitto?
No. Parlai, ma mi contenni, anch’io rapito dalla magia del luogo. Però rivelai la richiesta di mutismo da parte dell’Organizzazione, e un po’ ironicamente dissi che non avrei mai voluto far risuonare parole meno che rispettose in quel posto dove si svolgono le cerimonie più importanti e ufficiali della città di Firenze. Poi pronunciai qualche parola a favore della poesia satirica e me ne andai tra gli applausi del pubblico e l’approvazione della professoressa consegnatrice dei premi e il sospiro di sollievo della Giuria tutta, sussiegosamente schierata al lungo tavolo dei ‘saggi’. Avrei avuto voglia di mettermi a fare un mio spettacolo e far ridere o inorridire tutta quella gente, viste le lagne poetiche ammannite al pubblico durante tutta la cerimonia, ma mi accontentai così.
Questo succedeva solo alcuni mesi fa. E adesso?
Sempre pronto a satireggiare in versi. Sui miei libri, ad esempio, trovi una bella poesia sulla merda. Oppure ‘La Divina Trombata’, poema epico-ridicolo su Adamo ed Eva e la nascita dell’Umanità. Ho scritto varie canzoni dal testo non proprio presentabile allo Zecchino d’Oro, e di tanto in tanto mi diletto a poetar satireggiando. Ho vari inediti.
E la poesia monosillabica?
Ne ho una qui pronta per te. Breve ma intensa.
Recitamela, dai. Come s’intitola?
‘Ciao’.
E come dice?
Ciao.
Bella! Tutta per me?
Certamente.
Grazie. Ciao.
Ehi, ma allora sei un poeta anche tu!
Dono di famiglia!



36 – ESSERE FIORENTINO.
25 Luglio 2006



L’IMMAGINE.
Sua Maestà.
ESEMPLARE DA VIAGGIO.
Egli non è privo di movimento. Anzi: del movimento fa il suo più piacevole svago. Infatti il culo sculetta. E così facendo si modella in forme diverse che gli danno il senso del vivo. Camminando alterna le sue due parti carnose in un moto che appare perpetuo. Poi però si ferma, si irrigidisce oppure si rilassa. E se il corpo che se lo porta dietro accenna a chinarsi, lui si arrotonda e si rassoda automaticamente, facendo capire quanto egli viva, nel mondo, la sua eterna, esaltante, meravigliosa avventura di culo.
Evviva il Culo e Chi lo creò!
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Ciao “G”!
Ciao bischerino!
Perché mi dici questo?
E’ un appellativo affettuoso, dai… A Firenze si dice. E ‘noi’ siamo Fiorentini, no?
Ah, su questo non c’è alcun dubbio. Ma sai, oggi come oggi si scambiano le appartenenze cittadine con le appartenenze calcistiche.
Niente di più vero! E a me la cosa dà particolarmente fastidio. Secondo una massa ignorante e becera uno è cittadino di Serie A o B a seconda del Campionato in cui milita la squadra della propria città.
Ma io, se la Fiorentina va in B, mi sento ugulmente un Fiorentino di Serie A.
Certo! I gol li fanno e li prendono loro, non noi…
Anche i quattrini, per questo…
Sì, e non certo i blateranti e spesso delusi, repressi, ma allo stesso tempo ottusi tifosi, che pagano e basta. I poveretti si affezionano a ‘bandiere’ che alla prima occasione vanno a sventolare da altre parti. Non la capiranno mai.
Cosa vuol dire, allora, essere Fiorentino?
Vuol dire voler bene, un bene viscerale, alla propria città, e all’occorrenza incazzarsi, prendere posizione e assumere iniziative contro chi la deturpa in qualsiasi modo: moralmente e materialmente.
E cercare anche di dare suggerimenti, immagino.
Sì, nella più completa indifferenza dei ‘governanti’, quasi sempre. Ma zitti tante volte non si può stare.
Tu alla radio…
Io alla radio ho spessissimo attaccato l’Amministrazione Comunale sotto i più vari aspetti. E qualche volta è pure successo che abbia ottenuto qualche soddisfazione. Una volta mi beccai persino una denuncia dal Comandante dei Vigili Urbani, per aver detto cose vere, evidenti, che bofonchiano tutti, ma non al microfono.
E come andò?
Bene: la denuncia fu prontamente ritirata. Ma rimane un fiore all’occhiello nella mia carriera. Ne vado fiero.
Giustamente. E di quel caso degli scavi in Piazza della Signoria, che mi dici?
Ah, quello è un lampante esempio dell’intuizione/suggerimento di un cittadino (io) di cui si possono esibire prove tangibili a sostegno.
Che vuol dire?
Che carta canta. E canta anche bene. Intonatissima. Devi sapere – ma lo sai già – che in Piazza della Signoria, grande e significativo centro della Storia Fiorentina, sono stati effettuati a più riprese scavi archeologici, ritrovando interessanti strutture romane le quali avrebbero meritato miglior sorte del cieco ricoprimento del tutto che poi fu scelto di attuare.
Come i cani che ricoprono la merda dopo averla fatta.
E anche i gatti. Solo che quella è tutt’altro che merda. La merda va ricercata da altre parti…
Insomma…
Insomma successe che io, ancora lontanissimo dai microfoni, volli ugualmente far sentire la mia voce. Era il 1975, pensa un po’…
Accipicchia! Ma cos’eri, un bambino?
Più o meno. Ma non sono molto cresciuto. Infatti se tu leggi la lettera che inviai a ‘La Nazione’ e che fu pubblicata esattamente il 25 Luglio di quell’anno…
Precisamente 31 anni fa, oggi!
Esatto. Se tu la leggi, scopri che la mia prosa non è molto cambiata da allora.
E allora fammela leggere, no?
Certo. La pubblicarono parola per parola, senza togliere né aggiungere alcunché, rispettandone persino i capoversi. Anche il titolo che avevo dato a quello che era un vero e proprio articolo rimase tale e quale. Un fatto non frequente, credimi.
Ti credo.
E allora leggi.

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SCAVI IN VETRINA

Continua la polemica sui famosi scavi archeologici di Piazza della Signoria, e da più parti si suggeriscono soluzioni talvolta ottuse, come quella di ricoprire tutto e… dimenticare.
Non credo proprio che il vero Fiorentino si sentirebbe tranquillo passeggiando nella sua bella piazza e sapendo di calpestare le proprie origini riempite di terra alla stregua di ‘buche’ qualsiasi.
Io, che oltre ad essere un appassionato di archeologia sono un vero Fiorentino e mal mi adatterei alla ‘ricopertura’, desidero suggerire una possibile quanto spettacolare soluzione al problema, che metterebbe forse tutti d’accordo. Si tratta di questo: continuiamo gli scavi, magari in tutta l’area disponibile, e poi, una volta sistemati convenientemente i resti messi in luce, pavimentiamo la piazza con un materiale trasparente (sostenuto ovviamente da varie colonne) che ci permetta di osservare – e conservare – tutto senza risentire di alcun eventuale disagio provocato dagli scavi lasciati all’aria aperta (e alla mercé dei vandali).
Una opportuna illuminazione sotterranea notturna darebbe alla piazza una aspeto suggestivo e unico al mondo.
Si tratta di un intervento coraggioso e moderno, di avanguardia, che meglio di un monumento si addice secondo me a fungere da omaggio ai primi abitanti della città, a cui tutti noi dobbiamo della gratitudine.
A pavimentazione ultimata il turista avrebbe un motivo in più per venire a Firenze, in Piazza della Signoria, dove troverebbe magnificamente riunite le tre epoche della città: quella arcaica, rappresentata dai resti romani, quella dell’antico splendore, che tutti già conoscono e ammirano, e quella attuale, ben espressa dall’ardita realizzazione da me ideata.
Forse non è che un’utopia, ma non credo che il progetto, con i mezzi odierni, sia irrealizzabile: lo è forse nella testa di molti pseudo-fiorentini che, dopo aver gettato il classico ‘foglio di caramella’ nella ‘buca’ si lamentano per il sudiciume che essa ‘raccatta’.
Il mio suggerimento, comunque, non è rivolto a loro.

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Complimenti, “G”. Ma in fondo c’era la tua firma?
E come no? Nome e cognome, e pure indirizzo di casa! La lettera/articolo comparve anche nella rassegna stampa ufficiale del Comune di quel giorno. Ne possiedo una copia.
Allora non ci sono dubbi. L’intuizione fu tua prima che di chiunque altro. Perché in seguito qualcuno se ne appropriò, vero?
Come sempre succede alle buone idee. Ho degli articoli dello stesso smemorato giornale, datati 1988, che in seguito a nuovi scavi e alle polemiche a non finire che questi destavano in città, riproponevano la mia idea con grandi titoli, senza tuttavia citare, ovviamente, il primo che l’aveva avuta. Domenica 4 Settembre 1988. Titolo a tutta pagina (allora il quotidiano vantava ancora le vecchie, care, larghe nove colonne):

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COLPO DI SCENA NELL’ANNOSA VICENDA DEGLI SCAVI: UNA PROPOSTA DEL VICESINDACO MICHELE VENTURA

PIAZZA SIGNORIA, UN DESTINO SOTTOVETRO

UNA SOLUZIONE TEMPORANEA IN VISTA DEI MONDIALI: LASTRE TRASPARENTI PER COPRIRE L’AREA ARCHEOLOGICA DI MAGGIORE PREGIO

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E giù a parlarne, nel bene e nel male, sull’intera pagina, con tanto di disegno illustrativo di come sarebbe venuto il lavoro. Niente male: più o meno come l’avevo ‘progettato’ io! Va da sé che le lettere che inviai sia a ‘La Nazione’ che al Comune per rivendicare la primogenitura del progetto restarono, appunto, lettera morta. E sepolta.
Però poi niente di tutto ciò fu fatto.
No, a Firenze ormai da molti anni non si ha coraggio che per il brutto. L’innovativo, il bello, l’intelligente sono banditi. In compenso si lavora per far passare una orrenda tramvia da Piazza del Duomo.
E che ne è degli scavi di Piazza della Signoria?
Insabbiati, riempiti, dimenticati. Canmminiamo sulla nostra Storia facendo finta di nulla. La piazza poi è stata ripavimentata nel più bieco dei modi, togliendo l’ultimo antico selciato settecentesco per sostituirlo con una sorta di pista di pattinaggio. Le pietre vecchie, poi sparite, furono ritrovate nella villa di ‘qualcuno’ che se ne era appropriato… Niente di nuovo sotto il Sole.
“G”, lo sai che ti dico?
Non dire niente, “G”, ché è meglio.
Hai ragione. Dirò solo ciao.
E poi?
Ciao, ingegner “G”!
Ecco, così va bene!



*** SPECIALE ANNA MAGNANI ***

27 Luglio 2006



MAI VISTA NUDA?

(UN OMAGGIO ALLA PIU’ GRANDE ATTRICE CINEMATOGRAFICA ITALIANA).

Mai ritenuta bella, Anna Magnani ha incarnato tutta la passionalità, l’irruenza, la genuinità che noi Italiani ci attribuiamo, nel senso buono. Le stesse cose ce le attribuiscono gli altri, ma nel senso cattivo.
Le sue interpretazioni ne hanno fatto risaltare l’aspra fisicità, che non poco l’ha aiutata nei ruoli appassionati sostenuti in ‘Roma Città Aperta’, ‘L’Onorevole Angelina’, ‘Bellissima’: solo alcuni dei titoli che l’hanno vista assoluta grande protagonista. E poi quel ‘La Rosa Tatuata’ che le valse l’Oscar pur senza aver costituito la sua prova migliore…

Ma Anna, giovanissima, in anni difficili e poco inclini alle scollacciature, tentò con poche probabilità di riuscita la strada della sensualità, spogliandosi davanti all’obbiettivo fotografico. Anche lei.

Risale ai primi Anni Quaranta questa sua rara foto a seno nudo, assolutamente inusuale e inaspettata.

La sua strada per fortuna sua e nostra sarebbe stata un’altra, e solo in privato la Magnani avrebbe dato sfogo alla sua forte carica sessuale. In pubblico ci ha esaltati, commossi, stupiti, affascinati proprio a causa della sua splendida non-bellezza.

E adesso, se potesse leggere queste brevi ammirate lodi maliziosamente accompagnate dalla sua immagine un po’ goffamente discinta, magari mi telefonerebbe per dirmi: “A’ “GG!… ‘O sai che tte dico? Ma va’ a mori’ ammazzato, va’!”.
“Ao’!”, risponderei io, stando al gioco. “A’n'vedi ‘st’impunita!”. E dentro di me applaudirei.






 
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