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NOVEMBRE 2006 - Museo del G

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NOVEMBRE 2006

g racconta > BLOG CIAOG

58 – TORNARE BAMBINI O RIMBECILLIRE?
2 Novembre 2006



L’IMMAGINE.
Quando le donne erano veramente sode.
MISS ITALIA.
Ed ecco la più bella tra le veneri preistoriche di casa nostra. Mica male, vero?
Cosa le fareste, eh, porcelloni?…
——————————————————–

Ciao “G”! Tu sei più bambino o più imbecille?
Che domanda balzana! Quasi offensiva.
No, sai, ho solo letto il titolo di questo articolo. E gliel’hai dato tu.
Oh, beh… Sono ancora sotto l’effetto di una giornata intera passata nella bolgia del LUCCA GAMES, e per la verità la domanda che mi si è affacciata alla mente è stata proprio quella del titolo.
Ma cos’hai visto di tanto particolare da spingerti a farne un caso?
Caso no, ma… cazzo! Nel senso di esclamazione. Ho visto cose che voi umani…
Blade Runner.
Anche peggio. In questa manifestazione la gente si traveste da sogno. Cioè cerca di diventare il personaggio dei propri sogni. E questi personaggi sono tutti di fantasia. Ma quella degli altri: scrittori, fumettisti, cineasti… Difficilmente se lo inventano, un personaggio.
Mancanza di personalità?
Assoluta. E carnevale permanente.
Ma sai, solo la notte prima era quella di Halloween. Sarà per questo.
No, Halloween non c’entra niente. Questi si travestono sempre. Dolci fanciullone con le orecchie a punta, in realtà elfe sgangherate, guerrieri spaziali uso Star Wars dei poveri, cavalieri medievali senza cavallo, pseudotenebrosi eroi di profondi incubi a fumetti, baldi giovani a torso nudo pur di assomigliare a personaggi di un mondo in cui non esisono spifferi, streghe, fate, maghi, cerusici, inquisitori…
Un bel campionario!
Ma poverini, io non ce l’ho con loro. Sono loro che ce l’hanno con se stessi per ridursi così.
Ma scusa, tu nel tuo programma non ti ‘travesti’ da mille personaggi?
Sì, certo, vocalmente. E sono tutti inventati da me. Altri, senza fantasia, me li copiano. C’è modo e modo di esprimere la propria multiessenza. Io, essendo mille altri, resto sempre me stesso. Chi incarna la fantasia altrui invece si annulla.
Sei troppo severo. In fondo non è che un gioco.
Certo, certo, ma vedendo quelle vere e proprie caricature l’unico senso che mi si risveglia è quello del ridicolo. E qui scatta la riflessione.
Quale?
Quelli lì trombano troppo poco!
Eccoci! Lo sapevo! Si va sempre a finire sul letto.
Magari! E invece, impugnate le frementi spade di plasticaccia, i temerari guerrieri ingaggiano furiosi combattimenti all’ultima goccia di…
Sangue?
Macché! L’ultima goccia di…
Sperma?
Sì, magari! L’ultima goccia di…
Piscio!
No.
Sudore!
No.
Lacrime!
No.
Mi arrendo.
L’ultima goccia è quella che fa traboccare il vaso.
Ah…
E allora mi dico: se per restare bambini si deve rimbecillire, preferisco invecchiare.
Impossibile: il “G” non invecchia mai.
Questo è anche vero, e, credimi, sono più bambino io di quei vecchi rimbecilliti sadomasochisti in maschera che si illudono di essere quello che non saranno mai. Meglio giocare a essere mille se stessi che un solo altro.
Riflessione da aforisma.
Prendi per il culo?
Niente affatto. E ora scusami, vado a travestirmi da Gollum.
Ci assomigli anche. E io da Oscar Wilde.
E tutto quello che abbiamo detto finora?
Come non detto!
A mme ttu mmi sembri rimbecillito!
Vedi? avevo ragione!


59 – VENTIQUATTRO… VENTINOVE…

4 Novembre 2006



L’IMMAGINE.
Quando le donne erano veramente sode.
A’ BBONA!!!
Notato come il viso di queste veneri di 25.000 anni fa sia privo di lineamenti? Maschilismo preistorico? I corpi invece sono marcatamente delineati secondo il canone di bellezza dell’epoca. Eravamo dei porci anche allora!
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Ciao “G”! Oggi è una ricorrenza importante per te.
Eh, sì: oggi, 4 novembre 2006, ricorre il 24° anno dalla mia entrata a Radio Blu.
Ventiquattro anni? ‘Azz!
Sembrano tanti, vero? Eppure per risalire al mio esordio radiofonico bisogna contare fino a 29.
Addirittura?
Addirittura. Il 1° novembre 1977 io entravo nella mia prima radio come Direttore Artistico, mentre il 4 novembre 1982 facevo ingresso in quella che è tutt’ora l’emittente che mi dà voce.
Date vicine…
Stranamente vicine. Senza contare che l’oroscopo (in cui peraltro non credo) già all’inizio del ’77 mi prediceva il 1° novembre come la data fatidica del cambiamento totale della mia vita. Così fu.
Accidenti! Quel giorno avesti ‘tutti i Santi’ dalla tua parte!
E anche qualche diavoletto. Il 4 invece ho avuto dalla mia la Vittoria nella I Guerra Mondiale (1918) e l’alluvione di Firenze (1966).
Date storiche. Ma per i tuoi ascoltatori più affezionati quella che ti riguarda forse è la più importante.
Adulatore…
Una tua vittoria e un’alluvione di parole…
In un certo senso… Però, vedi, sono ancora indietro. Vince l’alluvione 40 a 24.
E vincerà sempre.
E’ ovvio. E poi io sono ancora a delle cifre per così dire imperfette: 29 e 24. L’alluvione è a 40, cifra tonda.
Sì, ma il prossimo anno, quando nessuno celebrerà l’alluvione di Firenze, tu con 30 e 25 la farai da padrone.
Però fra due anni la Vittoria sarà a 90 pari, e io (salvo cattive notizie) a 31 e 26.
E’ vero. Ma… che stiamo dicendo?
Cazzate. L’importante è ben altro. La continuità, il grande numero degli ascoltatori conquistati e che sta incredibilmente crescendo anche dopo tanto tempo, la passione profusa, la libertà scelta e usata, l’entusiasmo contagioso, le peripezie vissute, gli amici acquisiti, i nemici sconfitti, la fantasia vitale di ogni giorno, la conoscenza dell’umano genere, la testimonianza del cambiamento dei tempi… Una lunga pagina di storia popolare.
E chissà quante altre cose…
Un patrimonio immenso.
Questo perché hai fatto radio in un certo modo e non in un altro.
Ho fatto radio. E basta. Non vedo altro modo di farla. Quella che per lo più sento in giro non è radio, è sempre più spesso merda.
Tu l’hai detto. Però i tuoi detrattori dicono lo stesso di te.
Se c’è merda nei miei programmi è quella del mondo. E io la faccio annusare agli ascoltatori anche all’ora di pranzo.
E che schifo!
Perché, potresti vivere senza la merda? La gente mangia e poi caca. Ma benedetta sia l’espulsione defecatoria!
Oh! Ma la vuoi sempre vinta tu!
Con te sì.
Ma torniamo ai tuoi esordi.
Ne parlo nei miei primi libri. Sono entrato in radio grazie a Cicciolina.
Racconta, racconta…
Non c’è tempo né spazio, qui. Ma tanti e tanti retroscena verrano presto fuori. Cose che non sa nessuno… Cose di cui vi stupirete.
Io no.
Ci credo. Le hai vissute con me.
E… ne rivivremo?
Se lassù Qualcuno vorrà…
Gli ascoltatori vogliono?
Per quanto ne so, sì.
Anch’io.
Io pure.
Auguri e voce, “G”!
Grazie, altrettanto, “G”! Voce e libertà!



60 – GIUSTIZIA GIUSTIZIATA.

6 Novembre 2006




L’IMMAGINE.
Quando le donne erano veramente sode.
SFILATA FINALE.
Ed ora, signori, a voi la scelta: quale tra le quattro finaliste sarà eletta Miss Mondo 23.000 a.C.?
Votate, votate, votate!
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Ciao “G”! Cosa ne pensi…
Ma insomma, stai sempre a chiedermi cosa penso di questo, cosa penso di quello… Ma non hai delle opinioni tue?
Beh, sai… veramente… Se io sono te…
E allora?
Allora bisogna un po’ tenere la parte, per chi legge. Io faccio lo stupido e tu il bravo.
Ma io credo che tu sia stupido davvero.
Ah, grazie!
Nel senso che rappresenti la parte incerta di me, quella che si chiede sempre se fa bene o fa male, se è giusto o non è giusto, se è meglio scegliere questo o quello. Fa parte di ogni essere umano. Non credo ci sia nessuno del tutto convinto e sicuro di quello che pensa e che fa. C’è sempre un dibattito interno.
Ecco, vedi? Io servo a qualcosa.
Sì, certo, sennò non saresti qui a dialogare con me.
E allora parliamo della pena di morte.
Lo sapevo. E avevo già predisposto il titolo. Tu lo sai che io sono assultamente contrario, vero?
Lo so, ma, vedi, oggi si parla molto della condanna inflitta a Saddam Hussein, e alcuni dicono che lui la morte se la meriterebbe, per quello che ha fatto.
Se è per questo, molti altri se la meriterebbero per quello che hanno fatto, a cominciare dal suo grande antagonista…
Parli di Bush?
Certamente! Ma da qui a stabilirla per aride vie legali ce ne corre.
Anche se Saddam ha torturato e fatto morire migliaia di persone? Anche se Bush ha praticamente fatto lo stesso?
Anche. Un conto è meritarsi la morte, un altro vedersela sancire da un freddo tribunale autorizzato ad uccidere. Io sono contrario non alla morte, ma al principio di essa come giustizia di Stato. Quando si uccide ‘legalmente’ una persona si usa il verbo ‘giustiziare’. Io aborro questo verbo: non c’è giustizia nell’uccidere per sentenza.
Nemmeno gli assassini?
Tantomeno gli assasini!
Allora sei per il perdono.
Col cazzo! Macché perdono! Punizione, sì, ma con una lunga vita di privazione della libertà. Questa è la pena più giusta. Perché porre lo Stato sullo stesso piano di un assassino? Dobbiamo ancora usare la legge del taglione? Così la civiltà non va avanti. Siamo messi male, noi, tanto civili: passiamo da un’ingiustizia a un’altra. Da un lato la pena di morte, dall’altro le scarcerazioni facili. Gli assassini li vogliamo o morti o in libertà. Che ganzi che siamo!
Questo è vero. I begli ergastoli di una volta dove sono andati a finire?
E che gusto ci sarà mai a sapere che a tale ora di tale giorno quel tale colpevole (non sempre tale) verrà privato della vita? C’è più gusto saperlo in un fondo di galera a torturarsi l’anima per quello che ha fatto, no? Perché liberarlo con un cappio o un’iniezione letale? E perché pensare che questo impedirà ad altri come lui di perpetrare i loro delitti? Non è mai successo. I Bush e i Saddam ci saranno sempre, come ci sono stati i Goering e i Ceausescu.
Scusa, ma Bush non è mai stato condannato a morte.
Strano, vero? Ma se fossi il padre di uno dei suoi soldati mandati allo sbaraglio e crepati per niente, lo condannerei io.
Come? Tu così contrario alla pena capitale?
Un momento. Distinguiamo. Se a un padre uccidono un figlio, se a un marito la moglie, se a una persona un fratello, allora quella parolina che molti ipocritamente respingono (ma io no) può essere pronunciata.
E sarebbe?
Vendetta.
Quindi tu ammetti l’uccisione dell’assassino di tuo figlio?
Sì, ma solo io posso fare giustizia sommaria. Il tribunale no. Da noi, in Italia, abbiamo scelto di scarcerare gli assassini. Io padre, o marito, o fratello, non esiterei a tentare, almeno tentare di annientare chi mi ha sottratto il bene più grande.
E non è legge del taglione questa? Quello che dici è grave.
Ma me ne assumerei le gravi conseguenze. Andrei in galera, a differenza dei giudici che uccidono con un colpo di martelletto.
Sapendo che probabilmente verresti scarcerato dopo pochi anni…
Ma non farei questo calcolo. Perché una persona a cui viene ucciso un figlio vive tutta la vita nel carcere dei propri tormenti.
Sei spietato.
Con chi è spietato.
E compassionevole al tempo stesso.
Con chi, anche efferato assassino, venga ucciso da freddi e incivili meccanismi legali.
Ho capito il concetto. Quasi quasi sono d’accordo con te.
Ti conviene.
Cos’è, una minaccia?
No, un avvertimento mafioso.
Minchia!
Baciami le mani, picciotto “G”!
Sempre rispettando a vossìa!

(Sentilàeee!!!).




*** SPECIALE: FINALMENTE SMASCHERATO IL MOSTRO! ***
8 Novembre 2006



ESCLUSIVO.

L’immagine sensazionale che vedete si riferisce al Mostro.
Quale Mostro? Ma il Mostro dei Mostri!

Ripreso in una notte dai colori inquietanti durante una serie di scatti all’infrarosso effettuati da un anonimo fotoamatore, il volto del Mostro assume riflessi innaturali ed enigmatici.
La sua espressione diabolica e minacciosa incute terrore. L’anello che porta al dito possiede forse un potere inimmaginabile. La luce che lo sovrasta cos’è? L’emissione di un pensiero, un’astronave proveniente da un altro pianeta, la materializzazione di un ectoplasma, o la pura essenza della sua cattiveria?
Lo scatto è avvenuto per caso, nell’oscurità più completa, e solo dopo averne visionato il risultato il fotografo si è accorto che lì, davanti a lui, una stravolgente presenza stava scrutandolo.
Impazzito dalla paura il poveretto è scappato a gambe levate, e si è presentato alla mia porta stremato, lasciandomi tutto il suo armamentario e urlando: “Per me è finita! Me ne andrò per sempre! Ti prego, fai sapere al mondo che il Mostro è tra noi, e che questa è la sua faccia!”. Detto ciò l’uomo si è allontanato correndo scompostamente. Purtroppo attraversando la strada non si è accorto del sopraggiungere di una macchina che l’ha travolto ed ucciso. Non aveva documenti.
Quindi il Mostro è tra noi!
Ma chi è? Un terrestre, un alieno? Un assassino, un giustiziere? Un angelo, un demone?
Nel suo sguardo magnetico, sia pure poco rassicurante, si scorge persino un barlume d’intelligenza.
Un genio, forse? Un genio del male, in tal caso.
Chiunque lo veda, dovunque si trovi, fugga e si metta al sicuro. Poi mi avverta.
Prima o poi lo troverò, il Mostro, e lo farò fuori!


61 – LAVORI IN CORSO.
10 Novembre 2006





L’IMMAGINE.
La Gioconda tonda.
URKA!
Chi l’avrebbe detto? Ammazza che forme, Giocondina mia! Ma Leonardo lo sapeva? Perché se ti avesse vista nuda forse avrebbe fatto un corno alla sua omosessualità!
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Ciao “G”, come ti butta?
Abbondantemente.
Ma cosa hai capito, sporcaccione? Intendevo come va.
Va.
Madonna come sei sintetico oggi…
Mai quanto le poppe della maggior parte delle starlette televisive.
Spiritoso! Ma, a proposito, tu che ne pensi dei rifacimenti a cui si sottopongono le ragazzotte in cerca di successo?
Boh… Vedi, una tendenza, quando inizia, ti trova sempre scettico e sospettoso. Insomma, tendi a respingerla.
Poi?
Poi, quando diventa quansi una regola, devi in qualche misura accettarla.
Parli di misure fisiche?
No, di misure mentali. A forza di vedere seni rifatti sei praticamente costretto a considerarli una cosa normale, quasi naturale.
Effettivamente non ce n’è più una con poppine piccole o cadenti, in TV.
E questo non è un bene, specialmente per le poverette che non vogliono o non possono permettersi una stravolgimento del proprio essere per sentirsi all’altezza.
I famosi modelli a cui si fa riferimento: quelli televisivi, soprattutto.
Già. Donne bioniche, che non solo hanno tette, culi, labbra e zigomi scolpiti, ma che anche dopo un parto si ripresentano alla ribalta con la pancia perfettamente piatta, come se avessero semplicemente fatto una cacata.
Mentre le donne ‘normali’ si ritrovano pancette e cellulite da vergogna.
E non solo loro: pensa ai poveri mariti, che sono costretti a maneggiare certi mosciumi sognando la solidità siliconica delle veline di turno.
Insomma, i canoni stanno cambiando.
Oh, sì, se si dà uno sguardo alle veneri preistoriche che compaiono in questo blog. Da allora ne ha fatti di passi la donna!
Avanti o indietro?
Indietro, ovviamente. Credi che sia un piacere sentirsi dentro corpi estranei, farsi spaccare il naso, svuotare del grasso, sostituire i denti, tirare il viso, sbuffare in palestra, mangiare solo cose che non ti piacciono e non ti saziano, obbedire sempre alla legge del corpo per poter sentire a posto lo spirito?
Cazzo, in poche parole mi hai dipinto una situazione drammatica. Eppure a vederle sembrano così felici…
Certo, felici di essere un magazzino ambulante di merce da vendere al migliore offerente. Il quale se le piglia, se le ciuccia, se le usa e se ne libera per cederle a un altro. E loro, le belle senz’anima, se li pigliano tutti e se li ciucciano anche se non sono di loro gusto. L’importante è che siano ricchi e potenti. Anche questo va aggiunto al conto.
Poverine, però…
Macché poverine! Sono quelle ‘giuste’! I modelli da emulare. Ciò che ogni ragazza sogna di diventare.
Non ci credo!
E hai ragione. Per fortuna ci sono ancora ragazze che restano semplici, che s’innamorano dell’anima di un uomo e non del suo portafoglio, che non correggerebbero mai un proprio difetto, sapendo bene che fa parte della loro personalità, consapevoli che l’uomo intelligente può amarle per come sono e non per come potrebbero essere.
Ciononostante…
Ciononostante ormai i rifacimenti sono entrati a far parte stabilmente del panorama che ci circonda. Per cui anche le postine o le operaie, come le impegate e le cassiere, si riempiono, si snasano, si dietano, si sdentano…
E noi?
Noi siamo costretti a prenderne atto, come a suo tempo abbiamo preso atto dei collant, dei pantaloni e di quant’altro abbia ucciso la femminilità. Ci siamo ritrovati a sbavare su culi occultati da jeans e calze che niente lasciano alla penetrazione.
Viva le minigonne, allora!
Viva!
Viva le calze autoreggenti!
Viva!
Viva le cosce nude!
Viva!
Viva la fica!
Viva, viva, viva!!!
Tuttavia…
Tuttavia siamo sempre più costretti a palpare palle di silicone e a baciare labbra-canotto.
E tope rasate.
Oh, non ne parliamo!
Ne parliamo un’altra volta?
Quando vuoi. Ah, lo sai? Ora anche gli uomini si gonfiano i pettorali con sostanze estranee!
Davvero?
Che dici, “G”, ce la diamo una ritoccatina?
Quasi quasi… Dai…
Lo sai che ti dico, “G”?
Cosa, cosa?
Ma vaffanculo!!!




62 – DIO VEDE E PROVVEDE.

13 Novembre 2006





L’IMMAGINE.
La Gioconda tonda.
SVERGOGNATA!
O che roba è questa? Gioconda, ci giochi un pochino anche con me?
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Ciao “G”! Ci credi tu alla provvidenza?
Quella divina?
Quella della vita, soprattutto.
Vorrei tanto crederci, come ci credeva Don Bosco.
Il santo?
Proprio lui. Per i suoi ragazzi non aveva da mangiare e diceva: “Ci penserà il Signore”. E il giorno dopo arrivava cibo da generosi donatori. Lui non solo credeva, ma contava sulla divina provvidenza. E i fatti gli davano ragione.
Perché?
Forse perché la provvidenza aiuta i meritevoli.
E tu sei un meritevole?
A giudicare da alcuni fatti occorsimi nella vita, in parte devo dire di sì.
E raccontameli, questi fatti.
Ce n’è uno di fondo, ma più che provvidenza credo possa chiamarsi giustizietta.
Sostantivo altisonante, che tu diminuisci del suo valore.
Forse perché per me si è sempre applicato in piccole cose.
Tipo?
Tutte le volte che ho avuto una piccola fortuna ho dovuto ripagarla con una perdita equivalente. E viceversa: ogni volta che ho perso qualcosa ne ho trovata un’altra di identico valore.
Che strano…
Sì, anche perché non mi è stata mai data occasione di avere più di quanto mi servisse.
C’è gente che invece…
C’è gente a cui la ‘provvidenza’ elargisce molto più di quanto meriti. A me non succede, almeno sotto l’aspetto materiale. Io faccio sempre pari. Sono sicuro che se in terra trovo cento euro entro il giorno seguente mi capita una spesa analoga non prevista. E, al contrario, se li spendo per, che so, una multa, mi verranno presto restituiti in qualche maniera provvidenziale.
Ma così non riesci mai a godere delle tue fortune.
Ma nemmeno a piagnucolare sulle sfortune. Così succede con le notizie: se me ne arriva una bella mi incupisco: entro breve me ne arriverà una brutta.
E viceversa, però.
Meno male. E’ così che riesco ad assorbire i colpi più duri. Poi ci sono i piccoli bisogni che vengono colmati da fortuiti ritrovamenti. Questo è un altro settore della provvidenza targata “G”, che peraltro non copre mai quelli grossi. Tipo: mi andrebbe fortemente di fare un bel 6 al superenalotto, ma in questo caso le rare volte che gioco la provvidenza non mi assiste. Invece se ho bisogno di una piccola cosa di scarso valore, magari me la fa trovare.
Esempio?
Presto detto: avevo – ed ho ancora – due splendidi quadretti di una pittrice a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, ben quotata, che si chiamava Erma Zago. Ma erano senza cornice. Decisi di incorniciarli. Stavo per andare da un corniciaio quando, appoggiato sopra un cassonetto nel centro di Firenze, vidi un pacchetto. Ben confezionato, chiuso con dei nastri infiocchettati, sembrava non appartenere a nessuno. Qualcuno per liberarsene l’aveva appoggiato lì sopra. O forse se ne era dimenticato. Ma non si appoggia qualcosa a cui si tiene sul coperchio di un cassonetto. Lo presi, lo aprii, e dentro…
C’erano le cornici!
Esatto. Due, con tanto di vetri, e della esatta misura dei quadri che volevo incorniciare. Adesso su un parete di casa mia stanno intorno alle due deliziose opere d’arte che ne avevano bisogno.
Ganzo! Altri casi?
Certo, ne ho un bel po’. Ti faccio l’esempio del tavolino.
Quale tavolino?
Quello che ora nel mio salotto occupa il suo preciso spazio. Una mattina, guardando quello spazio vuoto, mi dissi: qui ci vorrebbe un piccolo tavolo rettangolare con una cassetta. Ci starebbe proprio bene. Mi ripromisi di cercarne uno in qualche mercatino. Non mi piace la roba nuovina nuovina. Presi le misure, consapevole che avrebbe dovuto essere di quella data esatta misura. E non sarebbe stato facile trovarlo, non subito, almeno. Uscii di casa per andare come ogni giorno alla radio e lungo la strada vidi, sempre vicino a un provvidenziale cassonetto, il tavolino che mi serviva. Era stato buttato via, ed era esattamente della misura voluta, non un centimetro più, non un centimetro meno. E aveva la cassetta.
Che culo!
Si fa per dire: il valore di queste cose è molto modesto, sempre. Come quando, avendo in casa uno di quei vecchi bidoni-sedili cilindrici con la raffigurazione dei Beatles, mi accorsi che il cuscino circolare nero soprastante si era tutto strappato. Avrei dovuto cambiarlo. Ma dove potevo mai trovarne uno simile? Uscii di casa e ne trovai non uno, ma cinque o sei, nuovissimi, buttati là da chissà chi. Quante probabilità ci sono che questi fatti accadano più volte, secondo te?
Poche, pochissime.
Eppure questi sono solo alcuni esempi di quello che mi succede, e piuttosto spesso. Se vuoi chiamarla provvidenza…
Piccoli significativi segni.
Ma c’è una regola: non devo chiedere, altrimenti non accade niente.
Cioè?
Ho capito che tutto deve accadere al di là delle mie aspettative. Perché, vedi, se io gioco al superenalotto lo faccio con uno scopo ben preciso. Quindi non vinco. O, se parto con una certa idea in testa, questa non viene mai soddisfatta. La piccola provvidenza della mia vita vuole sempre stupirmi. Non devo chiedere né aspettarmi la cosa che troverò. Devo solo desiderarla o averne bisogno. Ma non cercarla.
Fantastico! Il problema è che al superenalotto devi per forza giocare per vincere. E così in tante altre cose nella vita.
Ed è quando non succede nulla. Almeno a me.
Di cos’hai bisogno adesso?
Non posso dirlo.
Per scaramanzia?
No. Perché altrimenti ottengo tutto il contrario. Diciamo che desidero molto e non chiedo niente.
Ma non ti serve, che so, uno spillo?
Sì, per ficcartelo nelle chiappe! Così!
Ahi! Ma dove l’ha trovato?
Provvidenza, “G”, provvidenza!
Che male!!!



63 – LE DIFFERENZE DI ETA’.

15 Novembre 2006



L’IMMAGINE.
La Gioconda tonda.
GUARDALAEEE!!!
Però, come sono cambiati i tempi… Oggi la Gioconda farebbe la pornostar. O, come minimo, un calendario. Questo che mese sarebbe?
Forse il… meserizza!
—————————————————-

Ciao “G”! Ma eri tu con quella ragazzina?
Io? Vuoi scherzare?
Allora era uno che ti somigliava molto.
Forse eri tu, “G”…
Ehm… Cambiamo discorso, ché è meglio!
No, invece! Parliamo delle differenze di età.
Ottimo argomento! Tu sei favorevole?
A che cosa?
Alla differenza.
Solo se è tanta.
Ah, lo vedi? Allora eri tu!
Vuoi che ti ricordi che io sono te e tu me?
No, no, lo so già. Ma… quanta differenza?
Intendiamoci, niente pedofilia, sia chiaro!
Ci mancherebbe altro!
Tuttavia io sono convinto che una differenza di circa 25 anni tra uomo e donna possa starci. Anzi, è augurabile.
Naturalmente a favore dell’uomo…
Dipende dai punti di vista. Se ritieni che il favore consista nell’essere più vecchio…
E allora diciamo a sfavore. Non cambia la sostanza delle cose. Ma perché così tanta distanza?
A causa della superiorità manifesta e schiacciante della femmina nei confronti del maschio. Lui raggiunge la maturazione assai dopo di lei, e per misurarsi alla pari deve porre in mezzo almeno un’intera generazione.
Siamo così indietro?
Eh, già.
Ma non sarà una scusa, la tua, per ciucciarti sempre freschi fiorellini di donna?
Da una parte sei volgare e dall’altra poetico…
E’ la nostra natura, caro “G”! Allora, che rispondi?
Rispondo che non è così: è la donna stessa che cerca molto spesso l’uomo-padre il quale possa darle la sicurezza che troppe volte i padri naturali non riescono a dare, o non possono.
E siccome i padri sono molto spesso assenti nella vita delle figlie… qui interviene l’approfittatore, il marpione, vero?
Non è così. O almeno non è sempre così. In una forte differenza di età, a volte anche di 30 o 40 anni, si colmano i bisogni di entrambi. L’uomo vorrebbe restare sempre ragazzo, perché dentro lo è, e la donna quella bambina che vuole essere presa per mano, proprio perché non lo è più.
Quindi lei è troppo matura e lui troppo poco.
Così si corrono incontro, si incontrano a mezza strada, dove tutto è più equilibrato, e forse riescono ad amarsi.
Forse?
Un dubitativo ci sta sempre. Ma di solito funziona.
Però su tutto questo pende la spada di Damocle dell’età anagrafica dell’uomo, il quale, per legge naturale, dovrà abbandonare questa Terra molto prima della sua amata. Cosa mi dici in proposito?
L’uomo muore comunque prima della donna. Hai visto quante vedove ci sono in giro? Vedovi pochi. Calcoli in questo settore è meglio non farli. In una vita in cui siamo tutti passeggeri senza biglietto di ritorno la cosa migliore è goderci il meglio finché dura. E può durare anche molto: tutto il tempo migliore di lei, donato a qualcuno che le avrà dato in cambio il suo tempo più vero.
Belle parole, “G”: quasi mi hai convinto.
E allora se mi becchi con qualche – come dici tu – ragazzina, guardati allo specchio, e te la vedrai accanto.
Eh… Però… Mica male… Slap… Slurp…
Basta, porco! Non era questo sbavamento il senso del nostro dialogo.
Sglup! Scusa…
Scusato. Slap… Slurp… (Eh eh eh…).




64 – LE VERE PAROLACCE.
17 Novembre 2006



L’IMMAGINE.
La Gioconda tonda.
MONNAMARILYN.
Non ho ben capito se sia Monna Lisa ad essersi montata la testa o Marilyn Monroe il corpo. Il connubio è esplosivo, ma in fin dei conti preferiamo la Gioconda nel quadro e Marilyn nel calendario.
E… a letto?
—————————————————

Ciao “G”! Tu che parli libero, le dici le parolacce o no?
Certo che le dico. Ma bisogna capirsi sul termine ‘parolacce’.
Le parolacce sono le parole sconce.
Appunto. E secondo te qual è una parola sconcia?
‘Fica’, per esempio.
Solo se non se la lava.
Allora ‘culo’.
Perché? Senza il culo come ti siederesti?
Già! E come cacherei? Ah, ecco: ‘cacare’ non si dice.
Ma si fa. Non siamo ipocriti!
Allora ‘cazzo’. Questa sì che è una parolaccia!
Oh, se sei ancora a questo punto sei proprio fuori, caro mio!
‘Puttana’, ‘troia’, ‘maiala’…
Solo ‘donna’. Poi della sua topa ci fa ciò che vuole.
Vaffanculo!
Anche questa non è una parolaccia. Io in un culo, se è bello e femminile, ci vado molto volentieri.
Guarda che questo non era un esempio. Era proprio un vaffanculo per te!
Grazie! Rileggiti la mia frase precedente.
Ma allora, quali sono le vere parolacce?
‘Politica’: ti sembra abbastanza sconcia?
Sconcissima, specialmente come la viviamo oggi.
E ‘guerra’: che te ne pare?
Parolaccissima!
‘Burocrazia’. ‘Fame’. ‘Inquinamento’. ‘Corruzione’. ‘Mafia’. ‘Stupro’. ‘Pedofilia’. ‘Ricatto’. ‘Mobbing’. ‘Ingiustizia’. Così, a caso. Ti bastano?
Cazzoficaerocchenròll!!! “G”, ho capito. Queste sì che sono vere parolacce!
Aggiungo ‘caccia’, ‘zoo’, ‘pena di morte’, ‘tortura’, ‘indifferenza’.
Basta, basta! Lo sai che ti dico?
Spara.
Sei un bel pezzo di merda, “G”!
Grazie del complimento. Meglio ‘pezzo di merda’ che ‘leccaculo’!
In che senso?
In senso figurato, ovviamente.
Ah…



65 – SEX AND DRUGS AND ROCK’N'ROLL.

20 Novembre 2006



L’IMMAGINE.
La Gioconda tonda.
OCCHIO, RAGAZZI!
Maliziosa Monna Lisa… dove sei andata a ficcarti?
Ma se guardiamo bene, come ha fatto l’abile montatore di questa foto, l’occhio della Gioconda si sovrappone perfettamente ad una vulva.
Allora… Malizioso fu Leonardo?
—————————————————–

Ciao “G”! Ricordi quella vecchia canzone di Ian Dury?
E come no? ‘Sex and drugs and rock’n'roll… Ta ta ta ta ta ta…’. Bellina!
Certo, sono tre cose molto diverse tra loro.
Tu l’hai detto, “G”!
Puoi farmene notare la differenza?
Oh, mio Dio, sei a questi punti?
Insomma, voglio stimolarti a un ragionamento, una disamina, un sincero esame della situazione.
OK. Allora, da dove cominciamo?
Dall’inizio.
Sesso, dunque. Delle tre è la più naturale. Nasce con l’uomo, all’inizio come esigenza primaria di riproduzione, più che come soddisfacimento di libidini non ancora sofisticate. Istinto puro, acuito dal piacere. Un po’ come accade per gli animali. Poi diventa un sacco di cose: appagamento psichico, tabù, vergogna, esaltazione, deviazione, violenza, culto, sfruttamento, commercializzazione, ricatto… ma soprattutto amore, come dovrebbe essere. Solo che quest’ultimo caso si ha raramente, forse addirittura mai: durante un atto sessuale, anche tra persone che si amano, si è sempre soli, ognuno pensa a se stesso, come in una masturbazione allargata in cui le proprie mani siano sostituite dal corpo dell’altro. Questo per quanto riguarda l’orgasmo: il vero ‘fare l’amore’ è prima e dopo di esso, quando si è consci di essere in due. E anche questo è sesso, no?
Accidenti, “G”! Hai letto qualche libro in proposito?
Noddavvero! Tutta farina del mio sacco… ehm… sperma del mio scroto.
Ah ah… Carina questa! E della droga, che mi dici?
Tutto il contrario dell’amore. E’ odio. Odio verso se stessi, verso gli altri, verso il mondo. Non ci si droga per star bene, ma per riuscire a vivere. E presto ci si accorge che si riesce solo a morire.
Come la fai tragica… Tu in fondo non hai esperienza di droga, non sei la persona più indicata per tranciare giudizi.
Alcuna esperienza, hai detto bene, nemmeno mai uno spinello: ma è proprio per questo che mi rendo conto di quanto la vita possa essere vissuta appieno e soddisfacentemente senza l’ausilio di additivi che stravolgano la mente e il sangue. Anch’io ho subìto problemi, e di ogni sorta nella vita… Ma non mi sono mai piegato alla vigliaccheria dell’artificiale. E i miei ascoltatori sanno quanto sia capace di dare uno che si droghi solo di aria pura.
Quindi giudizio negativo…
E senza possibilità di appello. Se poi vuoi saperlo, sono contrario a qualsiasi liberalizzazione.
Ma ci sono in giro droghe ancor più pericolose, che uccidono: l’alcool, le sigarette… Tutto legalmente ammesso.
Senza saperlo hai detto una grande verità: quando sento fare questi discorsi mi chiedo se chi li fa non si renda conto che proprio il fatto che alcool e fumo siano di libera fruizione provoca la morte di decine di migliaia di persone ogni anno solo nel nostro Paese. E se anche le droghe lo fossero…
Ma il tabacco dà assuefazione. Le droghe leggere no…
E io ti rispondo che il tabacco uccide chi lo usa, ma chi gira in preda ad alterazione mentale dovuta a droghe può uccidere se stesso e gli altri. Non gradirei che uno mi venisse addosso con la sua macchina solo perché si fosse ‘fatto’ un po’ troppo. E tu?
No no…
Insomma, no alle alterazioni artificiali, sì a quella naturali, che comunque lasciano sempre spazio alla razionalità responsabile. E con questo dico no anche all’alcool, ovviamente.
Ovviamente. Ma proseguiamo: tocca al rock’n'roll.
Il rock può sembrare un’invenzione dell’uomo, ma in realtà non è che una scoperta. Il rock’n'roll esisteva già in natura: è stato solo trovato e utilizzato a scopi benefici dal Genere Umano.
Quindi un bene comune.
Yes. Qualcosa che può solo essere benefica. Il rock puro è energia creativa, vibrazione che non altera la mente ma la vivifica senza danneggiarla.
Tu sai che ci sono persone che lo spingono fino a tragiche conseguenze…
Gente come i Figli di Satana? No, quelli sono solo dei cretini. Il rock genuino è per gente vera e intelligente. Quando Elvis scosse il bacino, Little Richard iniziò a pestare sulla tastiera del suo pianoforte, Chuck Berry a dare alla sua chitarra sonorità inusitate, Jerry Lee Lewis a sedersi sopra i tasti e a suonarli con il culo, Gene Vincent a dare eco alla sua ancestrale selvaggia natura, Bill Haley a far ballare la gente come su un tappeto volante, allora la musica raggiunse le proprie origini: la jungla urlava ancora dentro di noi. E l’uomo si ritrovò.
Poi si è perso di nuovo…
Ma questo è fatale. E basta un buon rock per ritrovarsi.
Tirando le somme: no alla droga, ma sì al sesso e al rock’n'roll. E’ così, “G”?
Così, così, così! Sì… così…
E così sia! (Porco!).



66 – PER DANIEL.
22 Novembre 2006




L’IMMAGINE.
La Gioconda tonda.
TONDISSIMA!
Grazie, Lisa, di averci gratificato delle tue nudità solo immaginate. E se non sono le tue, ma solo carne appiccicata, non importa: anche tu avrai avuto tette, culo e passera, come tutte le monne di questo mondo. E ci chiediamo perché quella tale parte del corpo femminile venga chiamata, tra l’altro, Bernarda. Perché non chiamarla anche Gioconda?
————————————————–

Ciao G”! Sei triste, vero?
Proprio come te.
Siamo tristi. Abbiamo qualcosa in meno, da oggi.
Come si dice?… Daniel… non c’è più.
Così si dice.
Sua madre mi ha appena telefonato, e piangeva, lei, donna forte di stirpe teutonica. Mi ha detto che Daniel se n’è andato. E…
Anche tu sei commosso.
E come potrei non esserlo? Lui aveva solo trent’anni, tutti vissuti su una carrozzina, umiliato da una terribile distrofia muscolare che non gli ha mai permesso di essere come tutti gli altri.
E…
E l’unico Sole della sua vita… ero io. Gli unici momenti in cui rideva e stava sereno erano quelli in cui mi ascoltava. E mi ascoltava sempre, tutti i giorni. Sua madre mi ha detto che mi ha ascoltato fino all’ultimo giorno della sua vita. Come potrei non essere toccato personalmente da questa tremenda responsabilità?
Tu gli hai fatto solo del bene.
Avrei voluto fare di più. Avrei voluto salvarlo. Avrei voluto donargli anche un solo giorno di normalità fisica, una donna con cui fare l’amore, una corsa in un prato…
Capisco.
Sono andato a trovarlo a casa. Una persona intelligente, consapevole, persino ironica mi sedeva davanti. Le sue mani… mi colpivano le sue mani, beffardamente contorte, costrette a incorniciare un viso aperto e del tutto normale, che se estrapolato dal resto del corpo avrebbe potuto appartenere a un qualunque uomo abile.
Ma lui era più abile di tanti altri…
Sì, al punto di essersi laureato a pieni voti con una tesi su Rosa Luxemburg. Una laurea fine a se stessa, che però gli era servita a sentirsi vivo nel mondo. Ricordo quando per radio gli feci gli auguri per questo. Ne fu felice. Parlava bene, e mi telefonava. Io ero la persona più importante per lui.
Dovresti esserne fiero.
Di che? Di essere uno che ha già vissuto molto più di lui, che ha avuto una vita bella e piena, che ha corso nei prati, che ha trombato quanto ha voluto, e che corre e tromba ancora, che fa quello che cazzo gli pare, si muove e parla, e scrive, e guida, e può immergersi in mille mondi diversi, e…
Non avere sensi di colpa.
Io ce l’ho con chi, anzi, Chi, maiuscolo, può infliggere a un essere umano una tale pena. Quel Dio del cazzo che condanna una persona innocente ad espiare le colpe di tutta un’Umanità. Odio le ingiustizie, quelle degli uomini, ma soprattutto quelle di Dio. E non piango la morte di un essere puro e vero, un martire, ma piango la sua vita. Di fronte a lui mi sentivo a disagio. Lui era tanto più importante di me. Mi vergognavo a camminargli davanti. Perché io sì e lui no? Perché lui NIENTE? Quando gli detti la mano sentii la fragilità di quelle dita, ma in questo contatto era lui il più forte, io il più fragile. Ho sempre pensato molto a quel ragazzo, e a tutti gli altri nelle sue condizioni che mi ascoltano e che proiettano su di me tutti i loro sogni irrealizzabili. E mi chiedo continuamente PERCHE’. Ma non riesco a rispondermi. Ci sono degli emeriti stronzi in giro, che vivono bene e muoiono tardi, e il PERCHE’ si estende anche a loro. Loro che dovrebbero sparire dalla faccia della Terra e invece la insozzano, mentre anime candide soffrono ogni giorno e sanno di non poter vivere a lungo. E Dio che fa? Dov’è?
Non prendertela con chi forse non ha colpe.
Non ha colpe solo se non esiste. E se non esiste, affanculo tutto e tutti! In questo caso non c’è neanche un Dio con cui prendersela!
Ce la prenderemo con Madre Natura…
Matrigna, meglio, come diceva Leopardi. Daniel l’ha conosciuta da vicino. Recentemente era stato ricoverato in terapia intensiva. Continuava ad ascoltarmi, ero l’unico filo che lo teneva legato alla vita. Lo salutavo in trasmissione, lo esortavo a resistere. E forse voleva resistere, e farmi il regalo di vivere. Poi fu rimandato a casa, ormai agli estremi. E quel filo si è spezzato.
Ma di lassù…
Da quell’ipotetico ‘lassù’ in cui collochiamo sempre i defunti spero ardentemente che mi senta, che continui ad ascoltarmi. Forse a proteggermi. Sarebbe bello. Anche perché esisterebbe un ‘lassù’.
Aveva i tuoi libri, vero?
Sì, ma non ho fatto in tempo a dargli l’ultimo. Peccato. Non se ne separava mai, ed era felice per le dediche che gli avevo scritto. Quanto poco può bastare a chi non ha nulla… Adesso quei libri sono stati donati al medico che l’ha curato fino alla fine, anche lui – ho scoperto – mio ascoltatore assiduo.
La ruota gira…
Ma gira male. Si inceppa. Sobbalza negli ospedali dove gente nascosta soffre e crepa nella più vile delle umiliazioni. Si spezza nei reparti pediatrici dove bambini semplicemente sfortunati non possono giocare come gli altri. Va in frantumi sotto le bombe di insensibili assassini chiamati Padroni della Guerra. La ruota gira bene solo per chi ha fortuna, salute e, spesso, cattiveria.
E’ vero, a volte è proprio così.

Daniel, sei qui, nei nostri cuori, e in quelli di chi sta leggendo questa lacrima fatta di parole.
E a tutti i Daniel del mondo… Forza! Non siete soli. Chiunque abbia conosciuto un Daniel non può abbandonarvi.
Chiunque abbia conosciuto Daniel è più forte.
Grazie.
Grazie, Daniel. Adesso puoi correre.



*** UN MESE DI MOSTRO ***

24 Novembre 2006





SPECIALE CRITICHE MOSTRUOSE.

Ho raccolto alcuni giudizi sul mio libro a un mese circa dalla sua uscita.
La parola ‘critica’ si usa spesso nella sua accezione negativa, ma sappiamo bene che una critica può essere anche molto positiva: ecco, questo è il caso mio (modestamente…).
Si ripete un po’ quello che era successo per i primi due miei libri: basta leggere ciò che ho riportato nel secondo riguardo al primo (allora non c’erano i blog) per rendersi conto di quanto chi mi legge somigli a chi mi ascolta. Anzi, sono proprio le stesse persone!
Si può obbiettare che l’ascoltatore del “G” sia in qualche modo positivamente prevenuto, ma io so, perché ne ho le prove, che quando c’è da segarmi i miei ‘seguaci’ non si mettono i guanti, magari per amore. I ‘nemici’, poi, non se ne parla!
Quindi sono sicuro che quello che mi hanno scritto in sms ed e-mail sia del tutto veritiero. E poi il libro l’hanno pagato, e hanno tutti i diritti sulla sua sorte critica.
Essendo oltretutto quei giudizi identici a quelli che mi vengono espressi a voce, sono costretto a ritenere ‘IO SONO IL MOSTRO’ un buon libro, e me stesso un ‘promettente’ scrittore.
Come sapete sto scrivendo alacremente per il futuro. E le vendite attuali, insieme ai giudizi di chi l’ha già letto, fanno di ‘IO SONO IL MOSTRO’ un ottimo banco di prova, essendo il mio primo lavoro di narrativa.
Quanto leggerete qui sotto deve suonare sia come ringraziamento a chi ha voluto leggermi che come incentivo a farlo per chi ancora non mi ha letto (errore mostruoso, rimediabile però!).

Da un sito internet a carattere letterario:

— E’ fantastico! Racconti brevi e fulminanti, con il finale a sorpresa. L’ultimo è sul mostro di Firenze. Bello e originale.

— Da tempo non leggevo qualcosa di tanto avvincente. E’ vero cosa dicono nella prefazione. Un bel cervello! Le parole sa come usarle. E i finali delle storie sono fenomenali. Gli auguro di diventare un autore di successo come lo è alla radio.

— I mostri abbondano nel mondo. Questo libro ne scava fuori alcuni, ma sono persone normali come noi. Allora siamo tutti mostri? In uno di questi racconti mi sono riconosciuto. Non dico quale. Un libro eccezionale che colpisce nel segno e lascia il segno. Meccanismi semplici e geniali mettono a nudo una umanità talmente normale da risultare mostruosa. Belli anche i racconti di fantascienza e lo sfogo del mostro di Firenze.

Da SMS:

— Ciao, il tuo libro è intelligentemente azzeccato. L’ho letto tutto in un’ora. In bocca al lupo.

— Ciao “G”! Ieri ho adempiuto al dovere di ogni tuo degno ascoltatore! Ho comprato ‘IO SONO IL MOSTRO’ e sono alla ricerca del mistero… La mia reazione al finale del primo racconto? Un brivido lungo la schiena… Ho letto i primi 3 racconti ieri con la mia compagna in autostrada ed era come ascoltare un audiolibro.

— Il libro è bello. Continua così.

— Bel libro… a presto.

— O “G”, la mi’ moglie a leggere il primo capitolo me l’ha data una volta di più.

— Ganzo davvero. E l’effetto dinamite è vero. In 15 parole la miccia finisce e…

— Finalmente un buon libro da poter leggere sulla tazza del cesso. Bravo “G”!

—”G”, ho divorato il tuo libro per la prima volta, lo rileggerò tra qualche giorno per capire ulteriori sfumature. Semplicemente geniale. Io ti ascolto sempre (ho 22 anni) e mi rendo conto che non smetti mai di stupire. Questa volta mi ha stupito la tua fantasia. Per me sei un modello.

— Mi piace l’odore del tuo libro.

— Ho cominciato a leggere il tuo libro. Complimenti!

— Non ho parole. Sono sincera. Solo estrema genialità, consumata bravura via via nelle pagine. Il tuo libro è uno specchio: ci si riflette.

— I tuoi racconti sono proprio come delle canzoni. Le devi riascoltare per potertele gustare fino all’osso. E poi un’altra cosa: mi piacciono perché puoi attribuir loro qualsiasi significato tu voglia. Bravo e bello “G”!

— Ciao, è la terza volta che leggo il libro. Non sono mai sazia ma sempre ingorda. Nel rileggerlo ho sempre lo stesso interesse… stupore… emozione. Colpita e affondata. Grande.

— Vorrei fare un complimento allo scrittore.

— Ho divorato il tuo libro, ottimo lavoro, bravo! E’ un libro intriso di tensione che coinvolge molto il lettore e dove sono sviscerate bene le miserie dell’umanità. Probabilmante hai visto giusto nella personalità del mostro. Perché in molti racconti è presente il fiume?

— “G”, ho finito un istante fa il tuo libro… tutto d’un fiato, in questa notte. Intenso, inquietante… Mi ha fatto riprovare molte emozioni della mia infanzia… la paura per gli ascensori… il sottile turbamento misto a curiosità provato durante la lettura di un racconto o la visione di un film di fantascienza… Il terrore di perdere una qualsiasi cosa un attimo prima di averla ultimata. Hai raccontato in modo geniale sentimenti, angosce e disperazioni del mostro chiamato uomo.

— “G”, sto leggendo il tuo libro. Sei un grande, non lo scordare mai.

— Il libro mi è piaciuto, ricorda molto ‘Ai confini della realtà’.
Potrebbe venirne fuori un corto…

— Oggi è il mio compleanno. Per regalo ho ricevuto il tuo libro! Uno dei pochi doni azzeccati!

— “G”, ho ricevuto il tuo libro. Lo metterò nella mia biblioteca insieme ad autori come Hemingway, Dostoevskij, Joyce. Si sentirà a suo agio lì? Che ne pensi?

Io penso di sì: c’è anche un racconto dedicato al vecchio Hemingway dentro… Se poi si lamentano, fammelo sapere.

E infatti:

— Oh “G”, che ci hai messo in ‘Hemingway’? Ha un qualcosa di magnetico che mi fa sentire il bisogno di rileggerlo continuamente… Complimenti!

Visto?

Da e-mail:

— Ciao “G”, ho finito, purtroppo molto velocemente, il tuo libro e devo dire che mi ha stupito: è un crescendo, secondo me, inizia piano e finisce in modo veramente esplosivo: posso definire semplicemente che è una ‘droga’, quando lo inizi non puoi fare a meno di correre a leggerlo in ogni occasione possibile: mentre mangi, mentre ti lavi, mentre sei al cesso, prima di dormire, mentre carichi… no, via, mentre carichi no…
Questo effetto lo fanno solo i grandi libri, i grandi scrittori e spero proprio che tu faccia successo, o come si dice il botto. Io sono un fan di Stephen King e devo dire che tu nelle idee sei forse più brillante di lui: paragone scomodo, lo so, ma sono convinto che… diciamolo piano… lo puoi raggiungere.
Alcuni racconti li devi rileggere più volte da come sono originali. Tra i tanti cito ‘L’ascensore 1 e 2′, ‘Avanscoperta’, ‘Il collezionista’, ‘Il ballerino’: STUPENDO!
Scrivi presto un altro libro (magari più lungo) perché sono già in crisi di astinenza e poi volevo dirti che mi sono quasi convinto che il mostro sia te davvero! Questo perché l’ultima folle scheggia mi ha fatto davvero capire come pensava il mostro di Firenze!!!

—Caro “G”, ieri pomeriggio ho ricevuto il libro ‘IO SONO IL MOSTRO’. Appena l’ho ricevuto l’ho aperto e me lo sono letto tutto d’un fiato. Il libro mi ha completamente posseduto, più leggevo più dovevo arrivare alla fine.
I racconti sono molto riflessivi. Infatti le schegge raccontano le ipocrisie e i falsi miti dell’uomo.
Dopo che ho letto il libro ho cercato di risolvere il Codice “G”, e sono riuscito almeno credo a risolverlo.
In conclusione il libro mi piace e lo rileggo e ti ringrazio.

— … Mi sono accorta che mentre leggevo stavo accarezzando la copertina, quasi come se ti avessi avuto lì con me. Coccolavo quelle pagine come se fossero state il tuo viso, le tue mani. Per ogni ‘scheggia’ mi sono tuffata nell’atmosfera cercando di arrivare prima dei miei occhi a quello che immaginavo il finale. Per alcuni di essi sono riuscita a vedere dal tuo punto di vista, in quei momenti riuscivo ad esserti così vicina da poter ricostruire il finale (o almeno il suo concetto) come poco dopo avrei letto dai tuoi scritti. Non prenderla assolutamente come ‘prevedibilità’, perché non lo è. Hai un modo di scrivere, ma soprattutto di pensare, che è unico. Riesci sempre a rompere le barriere del comune, dello scontato, del normale, del morale, rimani fuori dagli orribili schemi mentali che caratterizzano la routine della maggioranza degli esseri umani di oggi. E’ come un artista che attraverso una sua opera riesca a far rifiorire nell’osservatore quei sentimenti che rimangono soffocati, persi e anestetizzati nella consuetudine dei molteplici input claustrofobici che ci pone oggi la vita sociale.
Quando leggo qualcosa di tuo avverto davvero la sensazione di vera libertà, riesci ad esprimere ogni tua piccola pazzia senza riserbo, riesci a far soffiare il vento della creatività liberandolo da tutta quella banale logica comune e da quelle oleose infiltrazioni di pruriginosa consuetudine creando qualcosa che è realmente tuo, nasce prima dentro di te e per te, il resto viene di ‘poi’.
Fra l’altro c’è una parte della seconda ‘scheggia’ che mi ha ricordato molto ‘I fiumi’ di Ungaretti:

“… Ho tirato su
le mie quattr’ossa
e me ne sono andato
come un acrobata
sull’acqua…”.

Dulcis in fundo, un sms controcorrente:

— Ciao “G”, ho letto il tuo libro e onestamente ti devo dire che non è così ganzo come pensavo. In bocca al lupo comunque!

La cosa mi ha insospettito, tanto che, un po’ presuntuosamente, gli ho risposto:

— Se è così dimmi quali sono le ultime quattro parole del libro. Perché dubito fortemente che tu lo abbia letto.

Al che il furbetto, vistosi scoperto, ha dovuto ammettere:

— Bravo “G”! Il libro non l’ho letto! Ho voluto vedere la tua reazione ad un commento negativo e non mi aspettavo una risposta simile!

Insomma: sono o non sono il reuccio delle prese di culo? Potrei forse caderci?

Bene, bene, bene… Non credo debba essere aggiunto altro: a buon intenditor (e intenditrice)…



67 – IL SETTIMO SENSO.

27 Novembre 2006




L’IMMAGINE.
La donna usata.
COSA PARTORIRA’?
Una donna in dolce attesa… Solo che a ingravidarla non è stato un uomo, ma un’antenna televisiva. O un digitale terrestre. O forse un satellite.
Chi mai sarà il padre? Boh!
—————————————————-

Ciao “G”! Stavo pensando…
A cosa, “G”?
Al sesso.
Ah, ti pareva che tu pensassi a qualcosa d’altro!
Perché, tu a cosa pensi di solito?
Io sono la parte evoluta di noi, e ovviamente penso anche allo spirito.
Va bene, ma l’amore fisico l’hai praticato…
In quantità industriali.
E allora? Vedi che possiamo intenderci?
In che senso?
Nel senso dei sensi. E tra i sensi quello del… A proposito, io conosco cinque sensi, ma tra questi, ora che ci penso, non c’è quello orgasmico!
Lo sai che hai fatto un’osservazione pertinente? Di solito lo si indica con la parola ‘gusto’, ma per gusto si intende quello orale, legato ai sapori. Effettivamente manca il senso relativo all’amore. Bravo a farmelo notare!
Degli altri sensi che mi dici?
Beh, sono tutti più o meno collegati al sesso, se vogliamo: il gusto dei baci, della pelle del partner, degli organi sessuali e delle loro secrezioni…
Vai così ché vai bene!
Il tatto, fatto di carezze più o meno leggere, più o meno insinuanti…
Wow!
L’olfatto, che ci permette di inebriarci degli odori intimi del’altro…
Sniff… sniff…
La vista, indispensabile specialmente al maschio, sempre il più guardone dei due, per apprezzare le fattezze della femmina con cui sta facendo l’amore…
Molto eccitante!
L’udito: bello sentire i sospiri e le parole pronununciate durante l’accoppiamento…
Sì… Sì… Sì… Ahhh…
Ehi, sveglia! I sensi sono finiti!
Ecco, lo vedi? Ne manca uno.
Ci sarebbe il cosiddetto sesto senso, sai, quello che in amore ci fa intuire mille cose della persona che ci interessa, che ci fa essere in sintonia anche con uno sguardo o quando siamo lontani…
Va bene, benissimo. Hai fatto un’ottima disamina dei cinque-sensi-più-uno legati al sesso. Ma quello dell’attimo supremo, del momento imprendibile, del vertice di ogni sensazione, perché non è codificato tra i sensi canonici?
Quello c’è, ma la bigotteria dei codificatori di sensi non l’ha fatto entrare tra quelli che si possono insegnare a scuola ai bambini. Così, rendendo l’orgasmo qualcosa di innominato, lo si è relegato tra le cose che esistono ma non si deve saperlo, che prima o poi si scoprono ma che non possono avere posto tra le legittime sensazioni umane.
E come si chiama?
Semplicemente ‘piacere’. Ma se vogliamo essere più precisi dovremmo chiamarlo ‘l’indescrivibile’, che è cosa ben diversa da ‘l’innominabile’.
Allora, ricapitoliamo: gusto, tatto, olfatto, vista, udito, a cui si aggiunge il sesto senso, che anch’esso non ha nome. Poi, come proponi tu, L’INDESCRIVIBILE, che sarebbe…
Il settimo senso.
Ma a me pare che…
Anche a me…
Cioè?
Che sia il primo!
Te l’appoggio in pieno!
Piano, però…




68 – LA MANO NELLE MUTANDE.

29 Novembre 2006




L’IMMAGINE.
La donna usata.
COSTA POCO E RENDE MOLTO.
Un dollaro, solo un dollaro, signori! Venghino venghino! La signorina si vende a poco! (Ma attenti alle fregature: si parte da un dollaro e poi…).
—————————————————-

Ciao “G”! Tu che hai fatto tanti spettacoli, sai dirmi quali sono stati gli atti più trasgressivi che hai compiuto in pubblico?
Bella domanda! Anche se conosci benissimo le risposte…
Dai, raccontalo a me per raccontarlo a tutti!
OK. Sorvolando sulle parole, che sono sempre state libere, e quindi, per il mondo in cui viviamo, trasgressive, sorvolando sulle tante telefonate fatte in pubblico, spesso molto più pesanti di quelle che faccio alla radio, sorvolando su…
Non sorvolare troppo. Vieni al sodo.
Ci godi, eh?
Abbastanza.
Allora ti ricorderò di quella volta che pisciai davanti ad almeno cinquecento persone.
No! Davvero?
Non far finta di non ricordare: il pistolino era anche il tuo. Nei miei spettacoli, quando mi gira, coinvolgo il pubblico in delle scommesse bislacche. Cioè asserisco di sapere od osare fare qualcosa che sembra impossibile. Una sera mi misi in testa di pisciare sul palco. Bevvi molta acqua prima, per farmi venire lo stimolo, anche perché a me è sempre rimasto dificile orinare in presenza di qualcuno. Mettevo veramente alla prova me stesso. Stabiliti i termini della scommessa, appoggiai sul pavimento un secchio di plastica e mi sforzai di farla.
Ma…
Ma girato di spalle. Io il pipi lo faccio vedere solo a chi voglio io. E poi per l’occasione si era fatto piccolo piccolo…
E…
E mi sforzavo, perché non veniva. Il pubblico mi incitava, e io mi sforzavo.
Alla fine…
Alla fine arrivò. Un microfono posto vicino al secchio ne comprovò lo scroscio, e le mie gambe larghe ne fecero scorgere lo zampillo.
Che bella impresa! Poi?
Poi passai col secchio tra il pubblico per fare apprezzare l’entità e la qualità dell’eiezione. Per la verità nessuno volle assaggiarne un po’, ma tutti furono concordi: non avevo usato una pompetta per simulare la spettacolare minzione.
Bravo! Bis!
No, mai più ripeterei la performance. Una volta nella vita basta e avanza. Alre trasgressioni invece le ho perpetrate più e più volte. Come quella di toccare il seno alle gentili e protuberanti spettatrici incautamente salite sul palco per coadiuvarmi in una mia canzonaccia intitolata appunto ‘Le Ciocce’. Le ignare, che dovrebbero farmi solo da ‘ispiratrici’ nel pezzo che canto accompagnandomi con la chitarra, si vedono proditoriamente palpare i procaci pettorali ad ogni ‘introduzione’ precedente una nuova strofa.
Ganzo! Perché non pubblichi il testo della canzone?
Qui ora non c’è spazio, ma lo farò in seguito. Ne ho palpate tante, sai. Alle più accondiscendenti infilo persino la mano sotto il reggiseno, e ciancico con gran piacere cicce e capezzoli. Dure, molli, ritte, cascanti… di tutto!
Che porco! Mi immagino il pubblico!
In visibilio. Il bello è che questo succede spesso con i fidanzati o i mariti davanti, che sono costretti a fare buon viso a cattiva sorte. Perché devi sapere che il “G” per alcune brave persone può fare di tutto, gli è permesso anche quello che ad altri sarebbe fatto pagare con il sangue.
Il “G” è il “G”!
Sì, ma certe volte mi sono preso anche dei sonori schiaffoni nonché delle belle pedate negli stinchi. Evidentemente non tutti la pensano come quelle brave persone di cui ti dicevo. Ma questa è davvero una minoranza.
Altre trasgressioni?
Te ne racconto solo un’altra, questa unica. Infatti non credo possa succedere di nuovo.
Racconta, dai!
Chiamo una ragazza sul palco. Viene su con una sua amica. In seguito ad una situazione piccante che ho creato comincio a palparle la pancia. La ragazza ha i jeans. Parlando con lei in modo quasi ipnotico scendo con la mano più giù, sulla pelle nuda. Lei è impietrita. Immobilizzata. Dura come una statua di marmo. Ma la sua pelle è calda e dolce. A questo punto inizio a fare la ‘radiocronaca’ di ciò che sto facendole. E descrivo le mie dita che scendono lentamente verso il pube della pischella, che arrivano a lambire i peletti (per fortuna non è depilata). La ragazza è molto giovane e assai carina. In sala i maschi proiettano su di me le loro libidini represse: “Vai, “G”!”. Le femmine presenti sono invece stizzite. Qualcuna urla: “Basta!”. Io continuo. La mano scende più giù, all’interno delle mutandine. Ormai sono al clitoride. Grandi e piccole labbra. Le mie dita sono già sulla giovane vulva. Lei non si muove. Non parla. La sua amica si agita un po’ ma non interviene. “Ecco, adesso sto infilando il dito medio all’interno della passerina!”. Il dito si infila davvero, ad uncino. “Sono dentro!”. Mormorio del pubblico. “E’ molto caldo ed umido qui! Adesso agito un po’ il dito!”. Lo faccio veramente, così, davanti a tutti, ad una sconosciuta che non si oppone. Il pubblico rumoreggia. Qaulcuno inneggia allo sfrontato “G”, qualcun altro disapprova. Dopo un po’ di ravanamento estraggo a malincuore la mano e mostro il trofeo: il mio dito medio umidoo e felice, con un peluzzo rimasto attaccato all’unghia. Chiedo se qualcuno voglia assaggiare, e qui scatta l’applauso, soprattutto di penosa solidarietà per la povera vittima, che come in trance riguadagna il suo posto in sala.
Incredibile!
Sinceramente quasi non ci credevo neppure io. Mi aspettavo che dopo il pancino la ragazza si ritraesse. Ma non l’ha fatto, e io ho proceduto. Credo proprio che questo sia il massimo della mia trasgressione in pubblico.
Nessuna vergogna?
Perchè, tu ti vergogneresti a toccare una topa?
Veramente no…
E allora godi: il dito era anche il tuo!
Che ganzo che sono!







 
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